Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono presentati al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, senza avanzare alcun nome sul possibile presidente del Consiglio. Ma hanno chiesto, pur consapevoli delle scadenze Ue, qualche giorno di tempo in più per completare i programmi con cui dar vita all’accordo per il governo del cambiamento. Su alcuni punti – dai vincoli di bilancio Ue alla giustizia, dall’immigrazione alle infrastrutture – restano delle divergenze, ma su altri capitoli le intese sono ampie: reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero, taglio degli sprechi, lotta alla corruzione e all’evasione fiscale. Sono misure attuabili? E dove trovare le risorse? Per Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara, “flat tax e reddito di cittadinanza sono conciliabili, anche se hanno bisogno di aggiustamenti rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale”. Ma la vera sfida resta quella di “rivedere radicalmente i parametri Ue”. A tal fine Rinaldi lancia l’idea di istituire una “Commissione scientifica di alto livello con il compito di avanzare proposte concrete di revisione delle regole europee e con il vincolo che non siano in contrasto con quanto stabilisce la nostra Costituzione”.
Professore, partiamo dal fatto che ieri Di Maio e Salvini sono saliti al Colle per chiedere più tempo. Significa forse che non c’è ancora un nome su chi dovrà guidare quello che è stato definito da M5s e Lega il primo “governo del cambiamento”?
Non sono d’accordo. Prima si devono fissare i punti di convergenza, poi si individueranno le persone più idonee per realizzare i programmi nel migliore dei modi. È un rovesciamento di metodo rispetto al passato. Non c’è un apriori sul nome, non serve trovare qualcuno che deve gestire degli equilibri di maggioranza. Qui si tratta di capire quali interventi servono e solo dopo si indicherà la figura più adatta. Inutile chiamare l’ortopedico se bisogna fare un’operazione al fegato.
Ma è davvero un governo del cambiamento?
Me lo auguro proprio. Se si vogliono cambiare i metodi rispetto al passato passando a un sistema “tedesco” basato su un contratto da sottoscrivere e da mantenere, a me sta bene, anche se serve più tempo. L’ultimo contratto di Grosse Koalition consta di ben 135 pagine. Certo, i tedeschi sono pignoli e puntigliosi, ma una volta stabiliti i punti del programma non se ne discostano.
Faccia un esempio.
Cinque anni fa, nel vecchio patto di Grosse Koalition, Cdu e Spd avevano concordato il no agli Eurobond, e su questo punto la Germania in sede Ue non ha mai derogato. Tornando all’Italia, è buona cosa fissare pubblicamente delle linee programmatiche e poi impegnarsi a realizzarle.
Dunque, è già un governo del cambiamento nella forma. Lo è anche nei contenuti programmatici?
Il cambiamento deve essere radicale: bisogna abbandonare le politiche di austerità. La sfida è proprio questa: stando ai dettami – direi così – “spintaneamente” ordinati dall’Unione europea abbiamo accumulato risultati disastrosi. Ora con la riforma radicale del sistema fiscale, della legge Fornero e con il reddito di cittadinanza dobbiamo liberare risorse.
Ma queste riforme costano. Dove si trovano le risorse?
Nel breve queste misure hanno un impatto negativo sui conti, ma nel medio-lungo periodo portano risultati. Non possiamo stare sempre fermi solo sulle percentuali e costantemente sotto la spada di Damocle della possibile reazione dei mercati. Occorre rompere questo giogo, questa gabbia e percorrere altre strade.
Flat tax e reddito di cittadinanza possono coesistere?
In tutti i Paesi del mondo le campagne elettorali sono caratterizzate da promesse altisonanti. Poi bisogna tradurre queste promesse nel concreto. La flat tax è il cavallo di battaglia della Lega, il reddito di cittadinanza lo è del M5s. Rimarrà deluso chi crede che verranno realizzate così come sono state annunciate in campagna elettorale: bisogna trovare una quadra, gradualmente. Ma con i dovuti aggiustamenti sono sicuro che siano misure conciliabili e attuabili.
E sulle pensioni? Non c’è il rischio che l’abolizione della legge Fornero possa trovare l’opposizione del presidente Mattarella?
Il tema delle pensioni è certamente scottante. Ma è una questione di equità sociale: la legge Fornero, introdotta nel 2011 in un momento di estrema difficoltà dell’Italia, ha tagliato le gambe a centinaia di migliaia di italiani, che si sono ritrovati senza un lavoro e senza poter andare in pensione, se non versando i contributi a titolo volontario per coprire la differenza degli anni mancanti.
M5s e Lega sono d’accordo su tagli agli sprechi e lotta alla corruzione.
Sono temi scontati, secondo me non bisognerebbe neppure discuterne.
In effetti sono un mantra di tutti i governi, ma poi agli annunci non sono mai seguiti risultati brillanti, anzi. Perché adesso dovrebbe cambiare la musica?
Dobbiamo essere più fiduciosi perché arrivano al governo persone nuove, meno legate ai vecchi sistemi. Certo, troveranno forti resistenze in quegli apparati che godono di vecchi privilegi. Ma una vera lotta agli sprechi e alla corruzione non si fa in cinque minuti. Per affrontare una guerra non basta nominare i generali, bisogna anche cambiare i marescialli. Non ci si può illudere che basta sedersi su una nuova macchina per saperla subito guidare. Occorre creare una sintonia sugli obiettivi con gli apparati.
Il contratto di governo prevede il carcere per chi evade il fisco. Funzionerà davvero per abbattere l’evasione?
Vorrei ricordare che Al Capone non fu processato e incarcerato in quanto mandante dei crimini a lui imputati, ma fu condannato all’ergastolo per evasione fiscale, che in America è considerata un reato gravissimo.
Vero, ma negli Stati Uniti il sistema fiscale è molto più semplice, da noi è più contorto e arzigogolato…
Qui sta il punto. Il nostro astruso sistema fiscale presta il fianco all’evasione. Dunque il nuovo governo deve mettere mano a una profonda riforma fiscale, che abbassi le aliquote e semplifichi il sistema. A quel punto lo Stato ha il dovere di mettere sanzioni severissime. Il carcere agli evasori è una misura salutare.
Lega e M5s non la pensano allo stesso modo sul rispetto dei vincoli Ue. Non c’è però il rischio che si entri in rotta di collisione con Bruxelles?
Una revisione radicale delle regole Ue è necessaria. Maastricht, e tutto quello che ne consegue, si regge su vincoli ormai anacronistici. È giusto rivedere i parametri.
Per esempio?
Tutto gira attorno al rapporto debito/Pil: perché a suo tempo non furono inseriti nel calcolo anche i debiti privati? Quando scoppiano, come si è visto, costringono poi gli Stati a intervenire per sanare la situazione. Se si inserissero i debiti privati nel calcolo del rapporto con il Pil, di colpo l’Italia si ritroverebbe tra i Paesi più virtuosi. Certo, a Bruxelles si deve andare con le idee chiare, la necessaria autorevolezza e con l’appoggio politico più ampio possibile. A tal proposito, vorrei lanciare una proposta al nuovo governo.
Di che si tratta?
L’idea è quella di istituire una Commissione scientifica di alto livello che avanzi proposte concrete su come riformare i vincoli europei, prevedendo, come in Germania, il criterio che non devono essere in contrasto con la nostra Costituzione.
(Marco Biscella)