Una recente sentenza della Cassazione ha gettato nello scompiglio il mondo del risparmio stabilendo che le polizze Unit Linked (oggetto di sentenza) hanno natura finanziaria. Sono prodotti molto diffusi e collocati da quasi tutti gli intermediari (dalle banche in giù) che le presentano come prodotto assicurativo “impignorabile e insequestrabile” ed escluso dal calcolo dell’asse ereditario. “Ciclone”, “bomba” hanno giustamente strillato alcuni giornali. La Sentenza 10333/2018 ha infatti determinato l’esclusione di questi privilegi ed enfatizzato il completo rischio (di perdita del capitale) a carico dei risparmiatori interessati da quel prodotto. L’Ania (rappresentanza delle assicurazioni) ha risposto presto e piuttosto bene che trattasi di uno specifico caso, di prodotti del 2006 collocati con poca trasparenza. Nessun rischio generale.
Fin qui la notizia, si diceva una volta. Invece no, fin qui la vergogna si dovrebbe dire. Perché la notizia sarebbe che già da anni molti Tribunali ordinari avevano “smontato” queste polizze, analizzandone il contenuto ed escludendo l’impignorabilità e gli altri pregi detti sopra. Con l’aggravante che risulta piuttosto difficile farne una categoria uniforme e considerarle in blocco in modo certo. Bisogna vedere volta per volta. Diciamo che a seconda del loro concreto contenuto, alcune potrebbero essere quel che dicono di essere, altre potrebbero sciogliersi nel grande mare di un qualunque prodotto di investimento, a completo rischio di perdita del capitale da parte del cliente e senza nessun privilegio o ammiccamento.
Questo far finta di nulla per anni è sconvolgente. Non può essere che a fronte di sentenze di molti Tribunali, da molti anni, che svuotano totalmente l’apparenza di questi prodotti, si debba aspettare la Cassazione. Chiunque può consultare “la rete”, come direbbe Beppe Grillo e trovare articoli e pronunce che dal 2008 girano attorno ai limiti dell’impignorabilità o (più recenti) che spogliando queste polizze ne rivelano la vera identità. Come il clamore, poche settimane fa, per le dichiarazioni della Daniele Nouy, dipinta come l’arcigno capo della Vigilanza della Bce, che non ha fatto altro che ricordare che l’Italia è il Paese dove è più alta la percentuale di bond bancari (capitale di rischio, di vario grado) in mano ai privati (il 40%).
La realtà e gli spunti e le provocazioni che offre non solo non interessano più, ma guai a parlarne. Ci fosse uno che vada a chiedere, emittente per emittente, collocatore per collocatore, se in questi ultimi 8-9 anni, da quando è chiara l’estrema ambiguità di questi prodotti, se sono stati ricontattati i clienti e, piano piano, messi in condizione di scegliere meglio e di decidere. Niente. Veneto Banca e Popolare di Vicenza non sono servite a nulla. La Commissione Parlamentare, meglio lasciar perdere…
“Ciclone Cassazione sulle unit linked”! Il titolo ci sta tutto, ma l’argomento è vecchio. Eppure dovrebbe essere così chiaro a tutti ormai che incertezza, opacità, ambiguità non pagano. Costano anzi prezzi salatissimi.