Caro direttore,
l’editoriale del Financial Times sui barbari alle porte di Roma, che sarebbero i populisti della Lega e dei 5 Stelle, ieri è stato inevitabilmente oggetto di commenti dal tono in realtà abbastanza scontato oltre che visto e rivisto. D’altronde per il quotidiano della City “l’Italia è sul punto di nominare il meno convenzionale e più inesperto governo che abbia governato una democrazia dell’Europa occidentale dalla fondazione dell’Europa unita”. La Lega sarebbe di “estrema destra” e il Movimento 5 Stelle invece solo “anti-establishment”. I problemi che ha il FT con il potenziale nuovo governo sono le politiche migratorie della Lega, i rapporti con la Russia, il reddito di cittadinanza e la riforma della Legge Fornero.
Il Financial Times non riesce a non dire che il problema italiano non è il deficit, ma le riforme istituzionali e, incredibile, la mancanza di crescita; “queste sono aree dove l’Europa può e deve lavorare costruttivamente con il prossimo governo italiano anche se significa assecondare la retorica del Movimento 5 Stelle e della Lega”. Il Financial Times non ci dice e non prova nemmeno a spiegare come mai in Italia i populisti hanno preso la metà dei voti. Non ci spiega che le politiche europee del 2011 sono state devastanti non solo per la crescita, ma perfino per i saldi di finanza pubblica al punto che in quel momento gli andamenti di Francia e Italia si sono separati irrimediabilmente mentre sono oggi ed erano ieri assolutamente equiparabili. Il Financial Times non dice che se è vero che l’amministrazione pubblica, inclusa quella giudiziaria, è ferma il privato ha subito, senza fiatare, riforme, come l’abolizione del contratto a tempo indeterminato, che in altri Paesi, che hanno ancora le 35 ore, avrebbero scatenato rivoluzioni.
L’enorme equivoco è cosa sia l’Europa e soprattutto la distanza tra quello che dovrebbe essere e dice di essere e la realtà. Per l’Italia l’equivoco è che i rapporti di forza di fatto esistenti in Europa oggi la condannano a non crescere e a subire gli interessi dei suoi principali concorrenti dalla Libia ai dazi sull’olio con la Tunisia. Nella casa comune europea non ci sono gli europei, ma ci sono i tedeschi, i francesi e gli italiani. Nella casa comune europea le regole si applicano o non si applicano in funzione degli equilibri di potere tra stati; è un processo in cui chi vince continua a vincere e chi perde continua a perdere. La Francia può ignorare per dieci anni di fila le regole sul deficit e può fare la guerra, la Germania ignora quelle sul surplus commerciale e ottiene dalla Bce due occhi chiusi sulle decine di miliardi di prodotti “illiquidi” che stanno nelle sue banche. In tema di immigrazione c’è da ridere visto il comportamento francese, che nessuno in Europa sarà mai in grado di sanzionare, e quello austriaco.
Che in tutto questo l’Italia mostri qualche segnale di insofferenza è naturale, visto che per rispettare le regole sul deficit subisce due anni di depressione come nel 2011, assiste impotente allo sfascio del suo sistema bancario e deve affrontare l’immigrazione scatenata dalle guerre degli altri, inclusi gli europei, con i governi europei che fanno i raid di polizia fuori confine, la Francia, od organizzano rimpatri, la Germania, facendo accordi usando i soldi europei con la Turchia.
Vorremmo far notare al Financial Times solo una cosa. I barbari in Europa sono già passati e hanno lasciato macerie e distruzione. Per l’esattezza sono passati in Grecia e avevano la faccia dell’Unione Europea. Il Financial Times scriveva l’anno scorso che il 15% dei greci vive in povertà estrema e altri stimano che quasi un milione di greci siano passati dalla classe media alla soglia di povertà. Qual è la prospettiva che offre l’Unione Europea alla Grecia se non la “privatizzazione” dei suoi beni statali dopo essersi assicurata che le banche francesi e tedesche potessero rientrare dei prestiti così improvvidamente concessi? Non sono anche loro europei? Possibile che la Germania possa continuare a macinare surplus con una valuta che è la metà di quella che dovrebbe avere mentre a ad Atene la gente muore di fame? Questa è l’Unione Europea e questo è il risultato della sua attuale struttura profonda. In Italia era usanza che la parte produttiva pagasse il conto di una valuta debole.
In questo contesto non c’è da stupirsi se qualcuno sceglie i barbari che conosce rispetto a quelli che non conosce e che calano da Bruxelles parlando tedesco e francese. Dove portino le politiche che propone l’Unione Europea per la periferia è chiarissimo oltre l’evidenza. Quelle politiche portano alla tragedia che si vede in Grecia e che è necessaria perché l’equilibrio di potere attuale non si rompa: perché i tedeschi continuino a incassare i benefici dell’Unione senza mettere una lira e i francesi continuino a fare quello che vogliono. Ci stupiamo che l’Italia, in un modo sicuramente scomposto, si risenta? Davvero? Forse per parlare con i barbari servono altri barbari.
Possiamo chiudere l’Italia domani all’unica condizione che il nostro voto europeo incida su tutti gli europei, tedeschi inclusi. Ma questo è chi ha potere oggi a non volerlo e per ovvie ragioni non lo vorrà mai. L’Italia deve rinegoziare i trattati sostanziali che oggi ci sono in Europa e, soprattutto, lo deve fare per ottenere le cose che servono alla crescita. Tutto il resto non conta.