Devo rivedere il mio giudizio rispetto all’articolo dell’altro giorno dedicato al viaggio di Angela Merkel a Washington per trattare di dazi e accordo sul nucleare iraniano. Non tanto alla luce del monito a tre cui hanno dato vita il giorno dopo proprio la Cancelliera tedesca, Emmanuel Macron e Theresa May, né riguardo al fatto che il capo del governo tedesco non sia mai stata così politicamente debole. No, in quel caso confermo tutto: la prima è una pantomima, la seconda una certezza. È il contesto a essersi palesemente disvelato dopo la decisione di Donald Trump, giunta sul filo di lana della scadenza del 1 maggio, di posticipare al 1 giugno una decisione riguardante i dazi su acciaio e alluminio verso l’Ue ma anche il Canada e il Messico. La Commissione europea ha reagito in maniera ufficialmente dura, dicendo chiaro e tondo che non intende negoziare sotto ricatto e che la scelta della Casa Bianca rischia di sortire come unico effetto quello di prolungare l’instabilità dei mercati, ma c’è qualcosa di stonato in tutto quanto accaduto lunedì: terribilmente stonato.
Primo, perché Theresa May, dopo aver trasportato il suo Paese in un raid militare sulla Siria senza alcuna legittimità internazionale, dovrebbe inimicarsi l’amministrazione Trump per una questione commerciale che, in punta di Brexit, non dovrebbe più interessare il suo Paese, il quale nell’arco di un anno o poco più dovrebbe negoziare unilateralmente con le varie parti Trattati e partnership? Forse, come dico da tempo, a Londra sanno che quell’uscita – in concreto – non ci sarà mai, ma ancora non possono dirlo per ragioni di politica interna? Fra tanti soggetti che possono prendere di petto l’inquilino di Pennsylvania Avenue, la May è davvero l’ultima che può guadagnare qualcosa: perché unirsi al coro dell’asse renano, quando ormai il suo Paese è fuori dai giochi comunitari?
Secondo: casualmente, poi, c’è una strana concomitanza di eventi, temporalmente interessante. La scorsa settimana sono stati alla Casa Bianca sia Macron che la Merkel, in rapida successione. Il Presidente francese è apparso come uno di casa, tutto sorrisi e camminate mano nella mano, mentre la Cancelliera, forse anche per il nein al raid contro Assad, ha patito non poca freddezza. Comunque sia, hanno avuto modo di parlare vis-a-vis con il presidente Usa, quindi di alzare anche i toni o fare richieste/domande che in pubblico non sono concesse: come dobbiamo leggere, quindi, la presa di posizione congiunta di domenica insieme alla May? Il viaggio Oltreoceano è andato talmente male, Trump si è trincerato talmente tanto dietro i suoi desiderata, da rendere necessaria quella mossa disperata e fuori contesto Ue, visto che si trattava di tre Paesi su 28, di cui uno in procinto di dire addio a Bruxelles, almeno formalmente?
Terzo, caso strano tra gli argomenti di discussione dei bilaterali di Washington c’era anche l’accordo sul nucleare iraniano, visto che entro il 12 maggio, Donald Trump dovrà decidere se il suo Paese resterà legato al Trattato fortemente voluto da Obama e se si chiamerà fuori, come appare sempre più palese. Coincidenza vuole che non solo nella notte fra il 29 e il 30 aprile un attacco – qualcuno dice anglo-americano dalla Giordania, qualcuno dice israeliano – abbia colpito postazioni iraniane in Siria, ma anche che nelle stesse ore il neo-numero uno del Dipartimento di Stato Usa ed ex capo della Cia, Mike Pompeo, fosse in Israele, prima tappa del viaggio mediorientale che lo porterà poi dagli altri due alleati di ferro degli Usa nell’area, Arabia Saudita e Giordania. E guarda un po’ un’altra volta, di colpo il premier israeliano, Bibi Netanyahu, viene in possesso dalla propria intelligence di qualcosa come 55mila files che dimostrerebbero le vere intenzioni iraniane, ovvero il processo di costruzione di 5 bombe atomiche pari a quelle usate a Hiroshima, di fatto tradendo palesemente il patto fondativo dell’accordo che ha portato alla rimozione delle sanzioni contro Teheran (e al ritorno dell’Iran sul mercato dell’export petrolifero, con grande scorno del nucleo forte dell’Opec, ovvero i Paesi del Golfo).
Detto fatto, convoca una conferenza stampa-lampo con grande drammaticità, visto che in vista dell’appuntamento con la stampa in diretta tv, Tel Aviv chiude anche lo spazio aereo del Paese: prove reali? Zero, come al solito, solo una sorta di rivisitazione 2.0 della pantomima di Colin Powell nel 2003, quando si presentò all’Onu con la fialetta piena di Gaviscon per dimostrare che Saddam aveva le armi chimiche e poter attaccare l’Iraq. Immediatamente, la Casa Bianca rilancia: le prove presentate dal governo israeliano confermano le nostre convinzioni riguardo la natura ingiusta e malevola di quell’accordo. Come dire, serviva il casus belli per certificare il “no” della Casa Bianca il prossimo 12 maggio e, non essendoci, ce lo siamo come al solito inventato.
Cosa farà adesso l’Europa? Se infatti Federica Mogherini ha dimostrato schiena dritta nel ribadire l’adesione Ue a quel patto, ribadendo come per Bruxelles l’atteggiamento di Teheran sia rimasto negli anni rispettoso dei patti (fossi Miss Pesc, berrei solo da bottiglie chiuse e farei controllare bene i freni dell’automobile, d’ora in poi), cosa dobbiamo attenderci da Francia, Germania e Gran Bretagna? Non vi pare ci sia, vagamente, puzza di ricatto che leghi questa posizione israelo-statunitense al rinvio di un mese della decisione sui dazi? Della serie, se fate i bravi e cambiate idea sull’argomento che davvero interessa noi e Tel Aviv, magicamente i dazi spariranno. Altrimenti, conoscete il prezzo da pagare. E lo conoscono, soprattutto, gli industriali tedeschi, già pesantemente colpiti dalle sanzioni contro la Russia. Vuoi vedere che, da qui al 12 maggio (e sicuramente entro fine mese) salterà fuori un “effetto Douma” contro l’Iran, ovvero una bella false flag che ponga Teheran al centro dell’indignazione internazionale, vista la tiepidezza delle reazioni a caldo alla conferenza-farsa di Netanyahu, il quale pur di evitare la galera per corruzione pare pronto a far correre al proprio Paese rischi indicibili?
Quarto, c’è infatti il rischio che qualcosa vada fuori controllo: ovvero, Israele e Usa vogliono piegare Teheran economicamente con nuove sanzioni, dopo il collasso dell’accordo nucleare, non sono così pazzi da volere una guerra dichiarata contro Teheran, la quale contemplerebbe anche l’attivazione del meccanismo proxy verso i due grandi alleati (prima di tutto economici) di Teheran, ovvero Russia e Cina. Se però qualche caccia risulta impreciso o qualche generale troppo zelante, siamo sicuri che Teheran accetterà il suo ruolo in commedia, stante il prezzo economico che comunque vogliono imporgli i nemici di sempre?
Quinto, al netto di tutto, ci sono questi due grafici, i quali ci dicono come gli Usa abbiano disperatamente bisogno di un qualcosa che permetta la riattivazione della stamperia della Fed, al netto dell’impulso creditizio cinese che non riparte a forza quattro e che, per i prossimi trimestri almeno, sarà indirizzato unicamente per la tenuta finanziario-economica interna. Inoltre, Pechino non solo è alleato economico di Teheran, ma, dopo il lancio dei futures petroliferi in yuan, ha tutto da guadagnare sia da una crisi interna del nucleo forte dell’Opec a causa dell’export iraniano, sia dalla sempre maggior messa in discussione del ruolo di benchmark commerciale globale del dollaro negli scambi internazionali, soprattutto di commodities.
Il primo grafico ci mostra come solo nel primo trimestre di quest’anno, gli Usa abbiano preso in prestito dai mercati internazionali attraverso emissioni di debito pubblico qualcosa come 488 miliardi di dollari, seconda cifra record di sempre: e sapete quando si raggiunse la prima, qualcosa come 569 miliardi di dollari? Nel quarto trimestre del 2008: ring any bell? Il secondo grafico, invece, ci mostra come le previsioni da qui alla prima metà del 2021, vedano Washington programmata per emettere debito con il badile per finanziare i budget e i tagli delle tasse folli della Casa Bianca. Vi pare sostenibile una dinamica simile, oltretutto con la crisi finanziaria ormai pronta a detonare, visto che dopo Fmi e Bce, sempre più soggetti istituzionali la reputano ormai inevitabile e solo tamponabile negli effetti più devastanti? La guerra commerciale Usa-Ue serve solo come detonatore e fa comodo a tutti: Fed, Bce, Ue e Casa Bianca. Se poi questo accelerante della crisi, ovvero questo mestatore di turbolenze di mercati che garantisca un nuovo ricorso a mezzi eccezionali e irrituali delle Banche centrali, portasse con sé anche la fine dell’accordo iraniano, saremmo di fronte a un clamoroso Bingo della Casa Bianca.
Due considerazioni finali, alla luce di questo scenario. Chi pagherà il prezzo più alto e diretto all’instabilità indotta del prossimo mese? L’Italia, senza governo e mai interpellata sulla questione. Sicuri che l’Iran si presterà al ruolo di cappone sacrificale senza combattere? Ma, soprattutto, sicuri che Cina e Russia lasceranno il palcoscenico alle pantomime di Washington e Bruxelles, senza voler dire la loro? Attenti ai piccoli incidenti e alle strane prese di posizione nelle prossime settimane: potrebbero essere rivelatori di qualcosa di più grande.