Moody’s e Standard and Poor’s hanno mandato avanti la sentinella che conta di meno, Fitch, contro l’Italia giallo-verde che sta nascendo col governo Conte. Fitch è appunto la più piccola delle tre agenzie di rating che regolano – nonostante le loro mitiche figuracce degli anni della crisi – i mercati mondiali dando i loro voti ai titoli di Stato di tutti i Paesi e a moltissimi titoli azionari. Sembrerebbe anche la più indipendente. Ed è stata pesantissima con il governo “Salvimaio”, come lo chiama più d’uno: “L’accordo politico di coalizione tra i due partiti italiani più populisti ed euroscettici – ha scritto ieri in un report che si è subito riflesso sullo spread tra Btp e Bund tedeschi – aumenta i rischi per il profilo di credito del Paese, in particolare attraverso un allentamento della disciplina fiscale e un potenziale danno alla fiducia”. E lo spread ha chiuso a quota 186,5 punti base, il record dal 2013. 



Nel report di Fitch è scritto che “quanto questi rischi si tradurranno in una valutazione di credito più debole è incerto e dipenderà dalla capacità del governo di realizzare il suo programma e da come si risolverà lo scambio tra i diversi elementi”. Avete letto bene? Più il governo realizza il programma, peggio andranno le cose per la “valutazione di credito” che ci faranno le agenzie di rating. Per loro, insomma, la prospettiva migliore è che il governo non faccia assolutamente niente di quel che ha promesso. È forse in questa direzione che va paradossamente letta la palese intenzione di tranquillizzare i mercati manifestata da Matteo Salvini quando ha detto: “Siamo vogliosi di partire e far crescere l’economia di questo Paese. Nessuno ha niente da temere. All’estero non si preoccupino. Sarà un Governo di speranza, crescita e futuro”. 



Sarà, e speriamolo; però per Fitch oggi il pericolo che già si vede è quello di “un allentamento fiscale e potenziali danni alla fiducia”. Già, perché ai mercati non piace che il programma “Salvimaio” esprima “l’impegno dei partiti verso misure che implicano una politica fiscale espansiva, aumentano l’incertezza sul settore bancario italiano e rendono più probabili gli scontri con le autorità dell’Eurozona”. Fitch fa ancora notare che il reddito di cittadinanza, la flat tax e cambiamenti all’età pensionabile “aumenterebbero significativamente il deficit dal 2,3% del Pil dello scorso anno”. Le misure proposte per aumentare le entrate fiscali “non controbilancerebbero questi impegni e il programma non è in linea con l’obiettivo di riduzione del debito pubblico del governo in arrivo”. 



Intanto, le newsletter finanziarie di Wall Street inanellano congetture. Il caso-Italia sta tornando a tenere banco. È di ieri sera l’osservazione di Finimize, una delle più lette, che addirittura prende spunto dall’ipotesi dei minibot, ventilata da vari esponenti giallo-verdi per sanare la vergogna dei debiti della Pubblica amministrazione, per parlare della nascita di una valuta italiana parallela ma separata dall’euro, come effettivamente il governo greco di Tsipras e Varoufakis aveva immaginato di varare nel 2015 prima di essere schiacciato dai debiti e dalla Trojka. E parlarne naturalmente come di una mina vagante sotto la stessa costruzione monetaria dell’Europa unita. Ipotizzando una “Italexit”. 

La newsletter ricorda, severamente, che le nuove “spese sociali” ipotizzate dai giallo-verdi dovrebbero essere finanziate con nuovo deficit, ma che “con un debito già piuttosto pesante, alcuni investitori cominciano a dubitare del merito di credito del governo italiano e vendono i titoli di Stato”. La speculazione internazionale ha già iniziato a inzuppare il pane in questo pantano politico-economico, insomma. Anche perché l’euro è sotto attacco del dollaro. La Fed ha alzato i tassi, se li rialzerà ancora (come si prevede che faccia in giugno) il dollaro continuerà a rafforzarsi e ciò attirerà capitali negli Stati Uniti…

Intanto dall’Europa si addensano nuvoloni di ulteriori reprimende, non politiche però – i francesi hanno stufato -, ma tecniche, con un forte appello alla riscrittura, sì, della riforma delle pensioni, ma non nel senso “lassista” promesso da Salvimaio con l’Eldorado della “quota 100”, bensì in un senso rigorista, con il taglio delle pensioni d’oro, ferme restando tutte le misure severe della legge Fornero! Insomma, prima ancora che un governo giallo-verde nasca sul serio, è già iniziata la fucileria internazionale contro qualsiasi mossa poco ortodossa della politica economica italiana. Guai ai vinti: dipendiamo dal debito pubblico, 40 miliardi al mese da collocare sui mercati, per un terzo a investitori stranieri. Dobbiamo fare quel che vogliono loro, siamo sotto ricatto.

La nostra sovranità è ultralimitata. Quindi le promesse fatte agli elettori sono state o deliberatamente bugiarde, e perciò truffaldine, o nella migliore delle ipotesi ingenue. Bello sarebbe se un governo autorevole potesse far recuperare all’Italia un briciolo di credibilità e ottenere dall’Europa le deroghe all’austerity demenziale dettata negli ultimi anni dalla Germania che sta mettendo in ginocchio tutti gli altri. Ma un governo autorevole è innanzitutto capace di presentarsi con le carte in regola, non deve macchiarsi di palesi tentativi di mescolarle, le carte.