La coalition antisystéme en Italie alarme l’Europe. E non basta: Théatre à l’italienne. Quelli che ho appena citato sono i titoli di prima pagina di ieri di Le Figaro, il quotidiano conservatore francese, quello per capirci meno duro e più in linea con l’esecutivo che fa capo a Emmanuel Macron. Insomma, in Francia è partita l’offensiva. E lo si è capito chiaramente l’altro giorno, quando il ministro dell’Economia d’Oltralpe si è sentito in dovere di ricordare al nascendo esecutivo che sui conti pubblici Roma non può scherzare, chiunque la guidi, pena la messa a rischio della stessa eurozona. 



Ora, che il nostro debito pubblico sia alto non è materia che rappresenti una novità o una sorpresa. Ma, esattamente come quello giapponese, l’unico fra le economie avanzate a batterci in questa poco lusinghiera classifica, è anche fra i più stabili, paradossalmente. Forse proprio grazie alla natura sistemica dell’Italia, al suo essere too big to fail o forse per una messa in pratica ormai storica del detto chi disprezza, compra, alla fine gli scossoni davvero pesanti sono stati pochi. E, spesso, se non eterodiretti, sicuramente “stimolati”, stile 2011. E a Parigi lo sanno benissimo, non fosse altro per l’idolatria immotivata che nutrono nei confronti del nostro espatriato di lusso, quell’Enrico Letta che spesso e volentieri viene ospitato sui giornali, nelle trasmissioni o nei convegni a parlare del Paese che ha guidato, prima che l’uomo di Rignano lo invitasse a stare sereno. Perché quindi questo attivismo francese, quasi Parigi fosse una sede sussidiaria ufficiale di Bruxelles, di suo già intervenuta in grande stile per metterci in guardia da alzate di ingegno anti-europeista da parte del nuovo esecutivo? 



La risposta appare ed è scontata, visto l’attivismo in sede europea e globale di Emmanuel Macron: l’Eliseo punta alla primazia nell’Ue, ora che Angela Merkel è quanto mai politicamente debole e tentata dallo strappo russo dettato da Nord Stream 2 e delle minacce del Dipartimento di Stato e Londra è, almeno formalmente, sul punto di dire addio all’Unione. Roma, di fatto, è vista da Parigi come una colonia e poco più, gente che mette a repentaglio la predominanza culturale del Louvre, quella enologica dello champagne e quella gastronomica della buona cucina. Per il resto, non sono cambiati dai tempi della risatina di Nicolas Sarkozy: politicamente, ci ritengono dei minus habens da quando sono spariti dalla piazza Craxi e Andreotti. Nulla di nuovo, quindi. 



C’è però un qualcosa di inedito e che non viene, a mio avviso, debitamente sottolineato: il silenzio di Berlino e della Bundesbank, di solito la prima a fare da cane da guardia del rigore europeista. Bene, come vi anticipavo nel mio articolo di ieri, la Germania ha preso giocoforza per prima consapevolezza dei nuovi assetti globali che si stanno delineando, a partire dagli scontri commerciali fino alle politiche monetarie della Banche centrali e arrivando agli scenari geopolitici, dalla Siria all’Iran, dalla Corea del Nord alla Turchia, Paese che vi invito a tenere sott’occhio nelle prossime settimane. E nel tumulto generale, accadono cose. Prima l’esenzione Usa dai dazi nei confronti di Pechino, non solo la sconfessione di fatto di tutte le accuse di Donald Trump verso il Dragone che gli hanno garantito l’elezione alla Casa Bianca (al netto degli hacker russi che piacciono tanto ai nostri intellettuali di sinistra), ma di fatto la conferma di un’offensiva bipolare verso l’Europa, intesa come entità economica e verso l’euro come potenziale valuta globale, nuovo benchmark forte a fronte di dollaro gravato dal debito e yuan che sconta l’assenza di una reale economia di mercato come sottostante. 

Poi, di colpo, il ministero della Giustizia Usa che nel fine settimana apre un’inchiesta sull’operato dell’Fbi dell’ultima era Obama, accusata nientemeno che di aver infiltrato la campagna di Donald Trump alle presidenziali del novembre 2016 per danneggiare il candidato repubblicano a favore di Hillary Clinton. Di fatto, non solo la sconfessione della pantomima del Russiagate, carrozzone politico-mediatico valso il Pulitzer al New York Times, tanto per capire come siano messi Oltreoceano, ma il suo esatto ribaltamento. Sul fronte dei grandi sommovimenti geopolitici, poi, siamo alla più classica delle strategie di stop-and-go: prima la questione nordcoreana era esiziale, praticamente la Terza guerra mondiale pronta a esplodere. Poi, di colpo, bastano le Olimpiadi invernali a Seul per far scoppiare la pace fra i due nemici storici e gettare le basi per l’incontro del disgelo fra Donald Trump e Kim Jong-un a Singapore il 12 giugno, prodromo alla denuclearizzazione totale della penisola. La settimana scorsa, poi, tutto in discussione di nuovo: Seul compie esercitazioni congiunte con l’esercito Usa, quindi Pyongyang, che sapeva di quelle manovre militari da mesi, annulla il vertice bilaterale per protesta e rimette in dubbio anche il meeting con l’inquilino della Casa Bianca. E la Siria? Dopo la false flag di Douma e il conseguente raid punitivo di Usa, Gran Bretagna e Francia, è calato il silenzio. 

Nel frattempo, però, l’ex spia Serghei Skripal ha lasciato l’ospedale di Salisbury dopo era ricoverato da settimane in seguito all’avvelenamento da agente nervino: pare stia benissimo, tutto risolto. Quindi, o non era stato avvelenato da quel tipo di sostanza o voglio il Nobel per la Medicina al nosocomio inglese. Tertium non datur, se non la figuraccia globale del governo May, il quale però in quel momento doveva alzare un po’ di cortina fumogena per nascondere le fallimentari trattative sul Brexit e, soprattutto, l’escalation di crimini violenti a Londra, divenuta di fatto più pericolosa di New York. Non una bella pubblicità per una delle mete turistiche più visitate d’Europa, la quale però ora rischia noie come la questione di visti e documenti di entrata e sta già facendo i conti con gli addii di grandi banchi e multinazionali, Unilever in testa, alla City in favore di Francoforte, Amsterdam o Parigi. Milano non pervenuta, nemmeno per l’Agenzia del farmaco. Roma non ne parliamo proprio. 

Ed ecco il vero punto nodale, la vera questione. In questo momento, l’Ue corre due pericoli enormi: primo, la volontà Usa e cinese di guadagnare quote di mercato a nostro discapito. Secondo, la rinnovata grandeur francese, la quale grida ai rischi per l’eurozona rappresentati dai nostri conti pubblici e dalle ricette del neonato governo, ma non vede il gioco suicida cui sta prestandosi, di fatto diventando giorno dopo giorno sempre più un proxy delle mire statunitensi. Ovviamente, con un coté molto appetitoso per Parigi: rimandare l’Italia in modalità 2011, in modo da poter terminare a prezzo ulteriormente di saldo il suo shopping dei nostri gioielli di famiglia, garantendosi inoltre l’ennesimo posto in prima fila per Total, ora che il petrolio torna a ruggire, grazie all’atteggiamento da cane da pantofola verso Washington. 

E se la Cina ha sì problemi di sostenibilità strutturale, legati soprattutto a quel casinò chiamato sistema bancario ombra e al suo addentellato nel mercato immobiliare, Pechino gode ancora di libertà monetaria e liquidità sufficiente a poter tenere il banco. E, quindi, dettare le regole in ossequio all’impulso creditizio globale che garantisce. Gli Usa, invece? Al netto delle panzane che leggete sulla grande stampa e, purtroppo, a volte anche su queste pagine (grazie al cielo, sempre di meno, perché alla fine ci arrivano a capirla, anche i più eminenti fra i propagatori di cantonate), questi grafici racchiudono plasticamente la situazione: morosità retail sulle carte di credito e cartolarizzazione di prestiti al consumo per acquisti di automobili che hanno superato il picco del 2008, richiesta di nuovi prestiti ai minimi e, dulcis in fundo, a ricordarci i fasti di dieci anni fa con qualche mese di anticipo sull’anniversario del crollo Lehman, ecco che la correlazione fra bond e titoli azionari ha appena toccato il suo livello di negatività maggiore appunto dall’ottobre del 2008. Ecco l’America oggi, altro che il film di Robert Altman: di fatto, uno Stato fallito basato su una moneta e della carta sovrana fallita e in grado di finanziare unicamente altro debito e altro deficit. 

 

Ma Parigi teme che siano i conti italiani e magari il no alla Tav a far saltare l’eurozona, non le mosse sempre più disperate ed estreme che gli Usa metteranno in campo da qui in avanti, anche giocando particolarmente sporco, per sopravvivere e far sopravvivere la loro assicurazione sulla vita, ovvero la primazia del dollaro come moneta di riferimento del commercio e della finanza globale. Ecco lo scontro reale, qualcosa di storico. Qualcosa che potrebbe cambiare il corso economico e geopolitico dei prossimi 50 anni almeno e che noi, invece, nemmeno vediamo arrivare in lontananza. Sarà un’estate caldissima e piena di novità e sorprese, in primis relative agli assetti politici ed economici: temo italiani in testa, temo. 

Staremo a vedere. Per ora vi saluto, oggi mi ricoverano per quello che spero essere l’ultimo atto del mio percorso di rinascita. Se tutto andrà bene, ci saranno novità al mio ritorno: l’ho promesse a me stesso e intendo mantenere la promessa. Per scaramanzia, non dico nulla, ma sarete i secondi a sapere, quando e se sarà il caso. Per adesso, mi congedo e spero di ritornare a voi la prossima settimana. Statemi bene. E occhi aperti, sempre sotto il pelo dell’acqua. Dove si nascondono gli iceberg.