Ieri Giuseppe Conte è stato protagonista delle consultazioni con le forze politiche parlamentari. Presto potrebbe tornare al Quirinale per sciogliere la riserva sull’incarico di formare un Governo che Sergio Mattarella gli ha conferito. Proprio dal Colle il Premier “in pectore” ha spiegato che il contratto di Governo tra Lega e Movimento 5 Stelle sarà preso a fondamento dell’azione del suo esecutivo. Dunque tutte le preoccupazioni e le perplessità manifestate nei giorni scorsi sull’intesa tra i due partiti dovrebbero restare intatte anche dopo la nascita del nuovo Governo. «Il vero rischio per l’Italia è che qualunque variante del Governo Conte ci sarà potrebbe metterci in contrasto con l’Europa e in grave difficoltà con i mercati. Il che ci porterebbe dritti verso una patrimoniale per poter finanziare il costo del nostro debito pubblico», ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Professore, Giuseppe Conte ha fatto sapere che il contratto di Governo Lega-M5s sarà a fondamento dell’azione del suo esecutivo. Questo può rappresentare un problema?

Il vero problema è che proprio nel momento in cui stiamo uscendo convalescenti da una crisi stiamo immaginando di adottare delle misure che destano preoccupazione, perché non sono assolutamente compatibili con lo stato delle finanze pubbliche del nostro Paese. Tanto più che sullo sfondo abbiamo la fine del Qe, una Germania piuttosto intransigente, la Commissione europea e i mercati già in allerta. La situazione può diventare poco preoccupante solo se i partiti di Governo, dopo aver fatto tanto can-can elettorale, diventeranno più “istituzionali”. 



Questo potrebbe dipendere anche dalle persone che verranno scelte per la squadra di Governo, ad esempio mettendo o meno Paolo Savona all’Economia?

A prescindere dai ministri, sono i provvedimenti che verranno annunciati, portati avanti e concretizzati a fare la differenza. Si può avere anche un ministro euro-scettico, ma se poi i comportamenti sono euro-compatibili non è un problema. Può benissimo causare più danni un ministro non euro-scettico ma che adotta misure che fanno saltare i conti. 

Ci potremmo trovare anche nella situazione di un Governo che, un po’ come successo in Grecia con Tsipras, dopo gli annunci e la voce grossa fa poi quello che viene chiesto dall’Europa.



A quel punto bisognerebbe capire quali sono stati i danni di aver voluto fare tutto quel can-can per poi ritrovarci con un Governo alla Tsipras. Mentre la Grecia era sostanzialmente scassata, quindi una volta toccato il fondo non poteva scendere oltre, noi siamo un Paese che dal 2014 in poi ha adottato misure che hanno riacceso i consumi pro-capite delle famiglie, fino a generare la più alta crescita triennale tra i 10 paesi più ricchi dell’Ue. La strada della flessibilità ha quindi prodotto qualcosa di importante, anche se certo non ha curato tutte le ferite lasciate dalla crisi. Se domani non si porta più avanti questa linea economica, quella del “sentiero stretto” come l’aveva definita Padoan, ci troviamo con un Paese che perde un anno. E nel frattempo sta per finire il Qe. 

Il Quantitative easing potrebbe andare avanti per buona parte del 2019…

Temo che il 2019 possa essere un anno molto difficile per noi, anche perché c’è un rallentamento complessivo dell’economia dell’Eurozona, la Cina non tiene il ritmo di prima, il commercio internazionale non sta brillando, il prezzo del petrolio sta salendo… Con un Governo che pensa alla flat tax per spingere i consumi rischiamo di trovarci contro l’Europa, di far aumentare il debito, di far partire una crisi dello spread che alla fine colpirebbe i cittadini che pensano di guadagnare dal provvedimento sulle tasse, visto che i loro risparmi sono nelle banche che hanno in pancia i titoli di Stato. Con un Governo alla Tsipras, di contro, c’è il rischio di non portare avanti le politiche economiche che finora si sono rivelate efficaci.

Politiche che sono state parecchio criticate…

In maniera poco efficace direi. Nel nostro Paese sono cresciuti i consumi pro-capite e gli investimenti delle imprese. Visto che la spesa pubblica non poteva essere aumentata per via dei vincoli di bilancio, abbiamo messo in moto tutta la domanda privata con dei buoni risultati (riassunti nella tabella qui sotto). Il debito pubblico sul Pil negli ultimi anni si è stabilizzato perché è stata trovata una via di mezzo tra l’impercorribile eccessivo disavanzo di bilancio e l’austerità che aveva azzoppato la crescita.

 

Crede che corriamo il rischio di una recessione, perlomeno tecnica?

Non credo, neanche nel 2019. Il vero problema è che questo Paese è stato rimesso in pista perché il Pil nominale è cresciuto intorno al 2%, si è fatto un avanzo primario intorno all’1,5% del Pil, c’è stata una stabilizzazione del debito pubblico su Pil che va già in crisi se la crescita si riduce allo 0,5-0,7%. E il rischio che non dando continuità alle politiche economiche intraprese negli ultimi anni si possa andare verso una situazione del genere c’è tutto. Non c’è bisogno di una recessione tecnica per ritrovarci con un’Ue che verrebbe a chiederci interventi per contrastare un aumento del debito/Pil. Il vero rischio per noi è che qualunque variante del Governo Conte ci sarà potrebbe metterci in contrasto con l’Europa e in grave difficoltà con i mercati. Il che ci porterebbe dritti verso una patrimoniale per poter finanziare il costo del nostro debito pubblico.

(Lorenzo Torrisi)