“La vera finanziaria? Vendere il patrimonio pubblico e fare cassa”. “Ecco perché all’Italia conviene uscire dall’euro”. “Salviamo l’euro dalla Germania”. “Così l’euro rischia di ‘uccidere’ l’Italia”. Sono alcuni titoli di interviste che Paolo Savona ha concesso a ilsussidiario.net tra il 2009 e il 2012. Giudizi netti, all’epoca assai impopolari agli occhi delle vestali dell’euro, ma sempre argomentati e in larga parte “profetici”. Nel mirino, l’euro: “che fosse un’area monetaria non ottimale e fosse destinata a mal funzionare era cosa ben nota a chi aveva la testa sopra le spalle e il cervello ben innestato. È stato un errore fare appello alle emozioni e nascondere gli effetti di una scelta giusta, ma mal fatta”.



Rileggendo quelle interviste emergono con nettezza le architravi del pensiero di Paolo Savona sull’Europa, su Maastricht e sull’euro. Il più serio candidato (a meno di colpi di scena) a occupare lo scranno di ministro dell’Economia nel governo giallo-verde non ha mai mancato di sottolineare l’inutilità di continue manovre economiche che hanno spinto il Paese verso un baratro di recessione e spreco di risorse pubbliche, e nel contempo ha più volte sollecitato a una modifica della Bce come prestatore di ultima istanza (in questo, “ascoltato” da Mario Draghi con il Quantitative easing).



Non solo: essendo convinto che “l’Europa è in grave ritardo e vive su un ossimoro: si chiama Unione Europea ma è l’area del mondo che vive nella maggiore disunione”, il che “le toglie peso politico”, ha invitato più volte la Ue a valutare il progetto di una federazione di Stati, cioè un’Unione più politica, più responsabile, più solidale (“quando si ha una moneta unica i problemi sono comuni per tutti e le soluzioni devono essere cercate insieme”).

Soprattutto, però, Paolo Savona non ha esitato a denunciare senza mezzi termini il “peccato originale” dell’unione monetaria: “L’euro senza un’effettiva unione politica tra gli Stati europei fa solo danni”, visto che il progetto della moneta unica ha favorito l’azionista di maggioranza di Eurolandia, la Germania, che ha potuto contare su un marco “svalutato” per esportare e creare il suo enorme surplus. E probabilmente è proprio da Bruxelles e da Berlino che arrivano le rimostranze maggiori sulla sua nomina all’Economia, come ha sottolineato ieri in un’intervista al Corriere della Sera l’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco: “le posizioni di Savona sono, in modo radicale e suicida, antitedesche. Questo può creargli e crearci dei problemi”.



In un’intervista al Sussidiario del 6 novembre 2009, alla domanda “Non è possibile secondo lei cambiare una scelta di politica economica come la nostra, basata essenzialmente per ora sul contenimento del debito?”, Paolo Savona rispondeva: “Si può farlo solo con anni di riforme. Nell’oggi la mia proposta è quella di cedere patrimonio pubblico e con gli introiti abbattere il debito. Abbattendo quindi gli oneri finanziari sul debito pubblico e creando spazio per la spesa. Il tutto senza fare ancora modifiche strutturali. È l’unica soluzione che io valuto possibile. Le altre restano avventuristiche: come ribassare le tasse senza preoccuparsi del disavanzo, nella speranza che l’elasticità della domanda superi il deficit pubblico che genera”.

Il 17 dicembre 2009, con la crisi della Grecia che mostrava in tutta la sua evidenza i nodi irrisolti dell’eurosistema e tutte le contraddizioni della parabola della moneta unica, Paolo Savona puntava il dito sul Patto di stabilità e sviluppo: “Il Patto introduceva implicitamente una correzione agli obiettivi molto restrittivi assegnati dal Trattato di Maastricht alla Bce che riguardano il tasso d’inflazione e l’andamento dei prezzi. Voleva essere l’elemento di compensazione che rende possibile attuare politiche di sviluppo e aumentare le capacità di resistenza delle economie all’indebitamento privato e pubblico. In realtà ha sovrapposto nuove rigidità alla rigidità derivante dalla gestione della politica monetaria; e i paesi, sotto la spinta delle pressioni sociali e ora della crisi economica, si sono trovati in seria difficoltà”. E già allora, alla domanda oggi molto attuale (bussare, per capirlo, alle porte di Merkel e Macron) “È possibile creare un unico debito europeo? A quali condizioni?”, replicava: “No, perché è totalmente escluso dagli accordi di Maastricht. Esigerebbe un nuovo accordo. Diciamo meglio: la creazione di un unico debito vorrebbe dire che l’Europa decide di fare l’unione politica. (…) Ma se un debito unico è impedito dal Trattato, ci sarebbero altre soluzioni intermedie”.

Quali? “Mille volte abbiamo proposto di fare almeno un debito per realizzare le reti infrastrutturali europee, ma neanche quello è stato accettato. (…) La realtà è che quando si ha una moneta unica i problemi sono comuni per tutti e le soluzioni devono essere cercate insieme. Ma se questo è vero, bisogna trarre la conseguenza che il Trattato oggi non garantisce più l’assetto europeo ottimale comportando conseguenze gravi per lo sviluppo del reddito e dell’occupazione”. E poi la stoccata: “Non appena la Germania avrà i conti in ordine – ed è opportuno rilevare che l’obiettivo del pareggio del bilancio fa parte ora della Costituzione – pretenderà dall’Italia e dal resto dei paesi europei la stessa cosa. A quel punto l’Italia avrà una corda al collo”.

Quasi un anno dopo, è l’Irlanda ad attraversare una grave crisi e davanti all’allarme lanciato dall’allora presidente del Consiglio europeo, l’olandese Herman Van Rompuy, sul pericolo di sopravvivenza per l’euro e l’intera Unione Europa, secondo Paolo Savona l’Italia dovrebbe prendere in seria considerazione l’ipotesi di uscire dall’euro: “agiamo oggi finché c’è tempo. Non infiliamoci sempre più in una crisi di proporzioni notevoli e di prevedibili sbocchi”, perché “se si continua a trascinare la situazione, tamponando la crisi con decisioni che hanno come contropartita la riduzione della sovranità fiscale dei paesi, non risolviamo il problema di fondo che è quello dell’Unione politica, della comune responsabilità dei debiti pubblici che il Trattato di Maastricht erroneamente rifiutò”. Con quali effetti? “Stiamo condannando l’Europa a una crescente deflazione e disoccupazione che prima o poi porteranno alla rottura dell’Europa”.

Ma Paolo Savona, dopo aver bocciato il solidarismo “peloso” del fondo europeo di salvataggio, propone la sua ricetta per affrontare il problema dei debiti pubblici: “Non creando un fondo, ma ‘parcheggiando’ presso un fondo i debiti pubblici in eccesso rispetto al 60% del Pil previsto dall’addendum del Trattato di Maastricht e quindi ristrutturare questo debito a lunga scadenza e a tassi appropriati in proporzione al debito pubblico che viene collocato. Dopo di che, una volta che tutti i paesi hanno una diretta responsabilità sul debito pubblico nella misura del 60% del Pil, si può ripartire con criteri di rigore accettabili”.

Saltiamo al 20 settembre 2011, in un momento in cui l’euro è debole (“perché non ha dietro di sé uno Stato”), Paolo Savona chiede un cambio di passo all’Europa: “Il futuro di un euro che contribuisca, come erano le attese dell’inizio, alla coesione e allo sviluppo dell’Europa, dipende dal passaggio a una forma di unione politica e quindi alla solidarietà reciproca tipica delle organizzazioni statali moderne”.

Il 17 maggio 2012, a un mese dalle nuove elezioni in Grecia dove potrebbero prendere il potere partiti che intendono ridiscutere i tagli e l’austerità imposti dall’Europa, Paolo Savona auspica che l’Italia esca dall’euro: “ora conviene”. Perché? “Se l’Ue non modifica le condizioni di operatività della Banca centrale europea, allargando le sue competenze ai titoli di Stato e al rapporto di cambio e assegnando a essa il compito di collaborare per lo sviluppo, e non decide una politica compensativa per le aree svantaggiate dalla natura non ottimale dell’eurozona, allora conviene uscire dall’euro. Ma ciò deve avvenire preparandosi a farlo, altrimenti i danni sarebbero incalcolabili. Invece, si persiste nel rifiuto di solo parlarne e, quindi, potremmo essere costretti a farlo, non a farlo su nostra iniziativa potendone governare il processo”. Ma i Trattati? “I Trattati internazionali possono essere sempre revocati, anche se non lo prevedono” e “La scelta sarebbe in ogni caso di lungo periodo. L’alternativa è tra pagare i costi un pezzo all’anno, con conseguenze sociali e politiche gravi, oppure pagarli in una sola volta e trovarsi in tre-cinque anni in una situazione migliore”. Quali sarebbero i passaggi da compiere? Tasso di conversione dall’euro alla nuova lira e ridefinizione del valore dei titoli di Stato in circolazione. “Il passaggio politico richiede invece un decreto legge, da convertire in Parlamento”.

Nell’ultima intervista concessa da Paolo Savona al Sussidiario, in data 20 giugno 2012, dopo le parole dell’allora premier Mario Monti al G20 di Los Cabos (“Sulla crisi dell’Eurozona i prossimi dieci giorni saranno decisivi per approvare misure a difesa della moneta unica”), Savona mette in guardia dall’euro, che rischia di “uccidere” l’Italia: “sono favorevole a uno shock salutare, senza il quale l’Italia si muoverà verso un lento degrado e si sveglierà troppo tardi”. E dopo aver manifestato dubbi sul fondo europeo di garanzia per i depositi bancari (per Paolo Savona la soluzione migliore è quella adottata in Italia, “ma si vuole imporre il meccanismo che ha fallito un po’ dappertutto. Se muoviamo verso l’unione politica qualsiasi devoluzione di sovranità è giustificata, altrimenti si approfondiscono le diversità”), arriva la stoccata finale: “L’euro sopravviverà perché la Bce non consentirà che deflagri, dato che ne andrebbe di mezzo e ha tutti gli strumenti per intervenire. Ma i costi che pagheranno i paesi deboli, dalla Grecia all’Italia, saranno tali che è lecito domandarsi se forze esterne alla democrazia possano decidere le nostre sorti. È giunto il momento, come accaduto in Grecia, che il popolo eserciti il suo diritto di scelta, anche di scelta sbagliata, e se ne prenda le responsabilità”.