Il caso Alitalia è uno dei dossier più urgenti che il nuovo governo dovrà affrontare. I tempi nei quali dovrà adottare decisioni risolutive sono molto stretti poiché la condizione del vettore è delicata e potrebbe rapidamente aggravarsi alla fine dell’estate. Nello stesso tempo la strada percorsa dal 2 maggio 2017 a oggi dal governo uscente, quella di vendere al più presto Alitalia senza neppure guardare ai suoi conti e alle effettive cause del dissesto, è definitivamente fallita, come d’altra parte ampiamente prevedibile. Al fine di chiarire al lettore una situazione molto complessa conviene fissare alcuni punti chiave:
1) Con il commissariamento Alitalia è stata temporaneamente “nazionalizzata” e lo resterà sino a una sua effettiva cessione.
2) Alitalia “nazionalizzata” è peraltro, allo stato attuale delle cose, invendibile, con buona pace del ministro Calenda e del governo uscente.
3) Tra pochi mesi la Commissione europea stabilirà che il prestito ponte è un aiuto di Stato erogato in violazione del diritto comunitario e ne chiederà la restituzione.
4) A quel punto tuttavia o l’Italia non obbedisce a questa richiesta, aprendo con la Commissione un contenzioso ulteriore che sarebbe opportuno evitare, oppure Alitalia rischia di non avere i mezzi economici per continuare l’operatività.
Alitalia è stata nazionalizzata il 2 maggio 2017
Alitalia è stata nazionalizzata, ma a nostra insaputa, il 2 maggio 2017. Non ce ne siamo in realtà accorti perché non si è trattato di una nazionalizzazione attiva, stabilita dal governo con un suo decreto, bensì di una nazionalizzazione passiva, decisa dagli azionisti uscenti i quali, dopo aver perso tutti i capitali investiti nell’azienda e portato il suo patrimonio netto in negativo, hanno chiesto il commissariamento e consegnato le chiavi aziendali al governo. Se il governo avesse ricapitalizzato Alitalia e nominato suoi amministratori, seguendo lo stesso percorso del Monte dei Paschi di Siena, noi ora saremmo consapevoli della nazionalizzazione. Invece gli amministratori si chiamano “commissari straordinari” e la ricapitalizzazione si chiama “prestito ponte a tassi di mercato”, in realtà con un certo tasso di finzione. Infatti quale operatore finanziario di mercato presterebbe mai soldi a un’azienda in grave perdita, insolvente e con patrimonio netto negativo?
Un’altra prova che si sia trattato di una nazionalizzazione è la dimensione del “prestito ponte”, incrementato lo scorso autunno dai 600 milioni iniziali sino alla strabiliante cifra di 900 milioni di euro. Nel 2008, a sostegno di un’Alitalia grande allora una volta e mezza quella attuale per flotta e dipendenti e quasi il doppio per fatturato, fu concesse un prestito ponte di 300 milioni; invece nell’agosto scorso il governo tedesco ha concesso un prestito ponte di soli 150 milioni, un sesto di quello italiano, in favore di Air Berlin, vettore più grande di Alitalia, poi ceduto rapidamente a Lufthansa e in parte minore a Easyjet. Qualche altra prova: nel 2008 i capitani coraggiosi pagarono per l’acquisto di Alitalia 1.052 milioni di euro, di cui tuttavia solo 427 per cassa, peraltro rateizzati; invece nel 2014 Etihad assunse il controllo di Alitalia versando solo 388 milioni. In sostanza i due successivi acquirenti privati di Alitalia hanno pagato in tutto 815 milioni per comprarsela due volte, mentre il governo italiano ha speso 900 milioni in una volta sola per non comprarla, né rilanciarla, bensì per venderla nel più breve tempo possibile. Ci sembra un esborso esorbitante per un’esigenza così limitata. Duecento o 250 milioni erano più che sufficienti se davvero si riteneva di poter vendere in pochi mesi, altrimenti a fronte di una cifra così elevata si dovevano indirizzare i commissari verso la ristrutturazione al posto della vendita. Con 900 milioni il governo italiano avrebbe potuto acquistare, ai prezzi di borsa del periodo in cui ha incrementato il prestito, circa un quinto di Easyjet o di Air France-Klm, divenendone primo azionista davanti allo Stato francese, oppure l’intera compagnia Norwegian, la prima e per ora unica compagnia ad aver creduto nel lungo raggio low cost.
Alitalia è invendibile
Alitalia è stata nazionalizzata e tale resta sino alla vendita che però non vi potrà essere nell’immediato dato che la compagnia è invendibile. Infatti, col suo attuale mix di offerta e flotta non interessa a nessuno nella sua integrità. Lufthansa, che ha già costi unitari più alti, non ha alcun interesse ad acquisire quella parte di attività di Alitalia maggiormente esposta alla concorrenza dei vettori low cost, in particolare i voli europei e quelli nazionali che non servono ad alimentarne i voli di lungo raggio da Fiumicino. Pertanto l’offerta di Lufthansa non può che includere una quota piuttosto ridotta dell’attuale flotta e una ancor più ristretta del personale, una soluzione non accettabile per il governo italiano, tanto quello uscente che quello entrante, in conseguenza degli elevatissimi costi sociali.
Si è scritto che Lufthansa fosse disponibile a pagare 300 milioni per gli asset di Alitalia, lasciando tuttavia quattro mila esuberi. Il costo per la loro protezione sociale potrebbe tuttavia arrivare a 1,5 miliardi di euro nei prossimi sette anni, ipotizzando forme di copertura analoghe a quelle utilizzate nella crisi del 2008. Pertanto la perdita netta per le casse pubbliche ammonterebbe a 1,2 miliardi, certo non un bell’affare per lo Stato italiano. Purtroppo quando si privatizzano imprese ridimensionate si nazionalizzano i loro “esuberi” e a fronte di ogni euro del contribuente non più dato ad Alitalia vi sono diversi euro che debbono essere dati ai lavoratori lasciati a terra da Alitalia, i quali vengono pagati dal contribuente per non lavorare, nonostante il mercato di riferimento, quelli dei viaggi aerei dall’Italia, cresca da anni a tassi da economia cinese. In un’ottica liberale non ristretta questa cosa, già verificatasi con grandi numeri dopo il 2008, è profondamente inaccettabile.
La Commissione europea chiederà a breve di restituire il prestito ponte
La Commissione europea ha aperto nelle scorse settimane un’indagine approfondita per stabilire se il prestito ponte concesso dal Governo un anno fa e poi accresciuto in autunno è un aiuto di Stato e se, in tal caso, esso è conforme oppure in contrasto con le norme comunitarie. Non si tratta di un caso nuovo, date le numerose similitudini col prestito ponte da 300 milioni erogato all’Alitalia pubblica nel 2008. In quella circostanza la Commissione stabilì trattarsi di un aiuto di Stato illegittimo e ne richiese la restituzione, ma essa non avvenne in quanto nel mezzo del periodo trascorso tra erogazione e sentenza il prestito fu trasformato in capitale proprio e si dissolse rapidamente nella gestione.
Il finanziamento pubblico di un’impresa, diretto o indiretto, tramite l’apporto di capitale o l’erogazione di credito, non è aiuto di Stato se avviene a condizioni di mercato, dunque in qualità di conferimento di capitale in un’impresa profittevole, o ragionevolmente attesa tale a seguito dell’adozione di credibili piani di ristrutturazione, oppure di erogazione di prestiti a condizioni normali di mercato e non a tassi agevolati. Se l’Alitalia privata fosse stata profittevole il governo avrebbe persino potuto comprarsela tutta intera senza ostacoli da parte della Commissione; trattandosi invece di un’azienda in dissesto un prestito consistente concesso a un tasso elevato, superiore al 10%, non può essere considerato una normale operazione di mercato. Esso è senza dubbio un aiuto di Stato dato che nessun soggetto di mercato presterebbe a nessun tasso soldi a un’impresa insolvente. Meglio dunque avrebbe fatto il Governo italiano a dichiararlo subito come tale, chiedendone contestualmente l’autorizzazione.
Due caratteristiche del prestito suscitano infatti le perplessità dei valutatori europei. In primo luogo, la durata del medesimo, inizialmente prevista in sei mesi ma in seguito allungata a un anno e ora, col decreto appena emanato, a oltre un anno e mezzo. In secondo luogo, l’entità dell’importo, elevata già in partenza ma in seguito aumentata del 50%. Novecento milioni rappresenta una cifra molto elevata, maggiore come già ricordato della somma di quanto spesero gli azionisti privati nel 2008 ed Etihad nel 2014. È l’importo di una ristrutturazione aziendale, tuttavia senza che sia stata prevista alcuna ristrutturazione aziendale. I commissari straordinari, seguendo la legge Marzano, avrebbero infatti potuto scegliere tra due strade alternative, rispettivamente la cessione d’azienda e la ristrutturazione, ma il governo li indirizzò da subito sulla prima, si presume avendo cognizione di uno o più compratori già pronti, precludendo la seconda. Tuttavia questo percorso giustifica un prestito limitato per un tempo limitato, come avvenuto in Germania nel caso di Air Berlin, ad esempio 200 milioni per tre mesi. Se invece l’acquirente non è alla porte appare preferibile ristrutturare per poi eventualmente vendere meglio dopo. Un aiuto di Stato consistente per un tempo non breve richiede invece che si metta in atto un piano di ristrutturazione credibile, in grado di riportare l’azienda alla sostenibilità economica. Ma esso non è stato fatto dai commissari, né richiesto loro dal governo e la sua assenza rende in conseguenza l’aiuto di Stato concesso ampiamente ingiustificato. È dunque facilmente prevedibile che non oltre l’inizio dell’autunno, considerando una normale durata dell’istruttoria, la Commissione europea imponga ai commissari di restituire allo Stato i 900 milioni.
Alitalia rischia di chiudere?
Cosa succede se a ottobre i commissari sono chiamati a restituire il prestito ricevuto? Quali sono le conseguenze sulla gestione aziendale e l’operatività dell’azienda? L’Italia potrebbe in realtà non obbedire a questa richiesta, aprendo con la Commissione europea un contenzioso ulteriore, che sarebbe invece opportuno evitare. Tuttavia se Alitalia obbedisce e restituisce i soldi non avrà più i mezzi economici per continuare l’operatività. L’alternativa è tra due soluzioni diversamente perdenti. Ve ne è solo un’ulteriore: predisporre rapidamente un progetto di ristrutturazione attendibile di Alitalia, quello che i commissari non hanno fatto in quest’anno perché il governo uscente non lo ha chiesto, al fine di presentarlo alla Commissione europea chiedendo nello stesso tempo l’autorizzazione all’aiuto di Stato. Ma questo va fatto prima e non dopo la decisione della Commissione sul prestito.