Il “blueprint”, una sorta di dettagliato appunto sulle cose da fare, non glielo ha consegnato; del resto Ignazio Visco non l’aveva dato nemmeno a Matteo Renzi e le penne maliziose ne hanno dedotto che è un segnale di scarsa sintonia. Tuttavia l’incontro con Giuseppe Conte a palazzo Koch si è svolto nel segno del rispetto reciproco in una giornata oscurata dai segnali che sono arrivati dai mercati: lo spread a quota 206,3, il livello più alto dal 2014, la borsa giù di un punto e mezzo con i titoli bancari in sofferenza. L’attenzione adesso è concentrata su che cosa dirà martedì il governatore della Banca d’Italia nelle sue considerazioni finali, le prime del secondo mandato.



Visco come sempre lavora in splendida solitudine ai passaggi chiave, quelli di maggior impatto anche politico, ma è chiaro che lancerà, con il suo stile concreto e fattuale, un avvertimento non tanto sulle minacce che vengano dai mercati internazionali, quanto sul pericolo che una politica spendi e spandi metta a repentaglio il risparmio degli italiani. Per capire come stanno le cose, bisogna in qualche modo rovesciare il punto di vista prevalente nella polemica politica corrente. Il debito pubblico è detenuto per due terzi dai risparmiatori italiani direttamente o attraverso le banche, un terzo soltanto è in mani straniere. Abbastanza per provocare un attacco al debito sovrano nel caso in cui tutti i detentori esteri cominciassero a vendere, ma la vera preoccupazione è domestica, riguarda le famiglie e gli individui che hanno comprato buoni del tesoro fiduciosi che sarebbero stati al sicuro. Ecco perché è necessario tenere sotto controllo il bilancio pubblico e i tassi d’interesse.



È proprio questo il mestiere principale del ministro dell’Economia. Poi vengono i negoziati con Bruxelles o le complesse discussioni sulla governance della zona euro. E viene dopo persino la questione chiave della coalizione giallo-verde: la permanenza dell’Italia nella zona euro. La Brexit ha affascinato sia i leghisti sia i grillini; a parte il fatto che ancora non è avvenuta e non si sa quando e come avverrà, la questione di fondo è che il Regno Unito è un Paese forte, in crescita, con i conti sotto controllo e un debito pubblico valutato con il massimo dei voti. L’Italia uscirebbe dall’euro e dall’Unione europea da posizioni di estrema debolezza, come una scialuppa nella tempesta. Salvare il risparmio degli italiani, dunque, significa sostanzialmente garantire la stabilità finanziaria del Paese, obiettivo primo di ogni governo che si rispetti e premessa di qualsiasi altra decisione di carattere strategico. Visco lo ha detto a Conte e lo dirà urbi et orbi martedì.



In concreto ciò significa che le nuove spese dello Stato debbono essere coperte da entrate adeguate, come recita l’articolo 81 della Costituzione approvato ben prima del Fiscal compact e quasi mai rispettato. Il Presidente del consiglio incaricato ha annunciato che darà priorità il reddito di cittadinanza. In realtà, il suo ministro dell’Economia, Paolo Savona o chiunque altro, dovrà innanzitutto trovare 12,5 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva. Inoltre, è chiaro che se il reddito di cittadinanza entrerà, sia pure in parte, nella Legge di bilancio per il prossimo anno, lo stesso dovrà accadere per la flat tax, magari in versione morbida e come anticipo della riforma futura. Difficile trasformare questi obiettivi politici in cifre, ma in ogni caso si tratta di parecchie decine di miliardi che si aggiungono agli altri da reperire per la normale amministrazione.

E il debito pubblico, alfa e omega della crisi italiana? La convinzione comune alla coalizione giallo-verde è che sarà ridotto da un aumento del prodotto lordo superiore a quello previsto dal precedente governo. Purtroppo la congiuntura internazionale lancia segnali opposti: rallenta persino la locomotiva tedesca, è davvero un azzardo prevedere che l’Italia potrà far meglio. Dunque c’è poco da attendersi da un effetto automatico della crescita. Gli sgravi fiscali possono dare una spinta, ma solo se ridurranno la pressione fiscale nel suo insieme (quindi se la flat tax non sarà finanziata con altre imposte). In ogni caso avverrebbe non subito, gli effetti si vedrebbero tra un anno, mentre quel che conta agli effetti della stabilità finanziaria è cosa accade qui e ora non in un prossimo futuro, imprevedibile in tempi di instabilità congenita.

Insomma, non c’è alternativa a una politica che tenga i conti pubblici sotto uno stretto controllo. Il tetto del 3% al rapporto tra deficit e prodotto lordo, può essere “stupido” come disse Romano Prodi o “irrazionale” come sostiene Paolo Savona, tuttavia un disavanzo in crescita che gonfia ancor più il debito non fa da stimolo allo sviluppo, ma alla speculazione. Al futuro inquilino di palazzo Sella, dunque, Visco manderà un messaggio alla Quintino Sella o meglio alla Luigi Einaudi (scelto non a caso da Sergio Mattarella come suo faro in questa ingarbugliata situazione politica). Visco non è un monetarista, né un fanatico dell’austerità, al contrario, ma in questa Italia ancora in preda a una crisi di nervi, il dibattito teorico perde significato. Contano i fatti, conta un bagno di realtà.