Ora si sta andando verso un “Governo di tregua” e nuove elezioni. È difficile ipotizzare quali saranno gli schieramenti. Tuttavia, è plausibile pensare che i programmi elettorali di Lega e M5S mutueranno diversi punti dal “contratto di governo” concluso tra le due principali forze politiche che hanno avuto più voti alle elezioni del 4 marzo scorso. Questa testata ha già sottolineato, subito dopo la pubblicazione dei risultati del voto, che per quanto la Lega e il M5S si fossero presentati agli elettori su fronti opposti, e con matrici sociali molto differenti, c’era la possibilità di coniugare alcuni punti fondanti di una delle due forze politiche con quelli dell’altra. Abbiamo anche sostenuto che sarebbe stato preferibile un accordo tra l’intero centro-destra e il M5S sia per avere una maggioranza parlamentare più vasta (e tale da assicurare un Governo di legislatura), sia per giungere a una mediazione che includesse un maggiore numero di “blocchi sociali” e arrivare così a un governo “della nazione” che si ponesse tra gli obiettivi primari quello di ridurre il divario tra Nord e Sud.
È quanto è stato fatto? Non è chiaro. Nel “contratto di governo” si è perso di vista che il nodo centrale dell’Italia è l’aumento della produttività essenziale per costruire bene il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti e ridurre, in un lasso di tempo realistico, le maggiori diseguaglianze sociali. Sarà questo il tema guardato con più attenzione sia dagli elettori, sia dagli osservatori e investitori internazionali. La produttività non cresce da circa un quarto di secolo e oggi il Pil pro-procapite degli italiani è, in termini reali, il 10% meno di quello che era vent’anni fa, quando l’Italia prese la decisione di entrare nel gruppo di testa dei Paesi dell’unione monetaria europea.
Per anni ho sostenuto che a ragione di una decisione errata presa dal ministro del Tesoro (allora era Guido Carli) e dal Governatore della Banca d’Italia (allora era Carlo Azeglio Ciampi) dal novembre 1989 l’Italia soffre di un cambio sopravvalutato che, tuttavia, grazie alle capacità delle nostre imprese, non ha ridotto l’impulso delle nostre esportazioni alla crescita, pur contenuta, che c’è stata. Oggi a quasi trenta anni dall’errore commesso è impossibile proporre di aprire un negoziato sulle “parità centrali” su cui è stato costruito l’euro nel Trattato di Maastricht. Uscire dalla moneta unica favorirebbe gli esportatori per un certo lasso di tempo, ma impoverirebbe tutti gli altri italiani. È utile ricordare che nel 1987, con l’accordo del Louvre tra Francia e Germania, Parigi decise di agganciare la propria moneta al marco tedesco proprio per “forzare” un aumento della produttività. Aumento che Oltralpe c’è stato, mentre da noi non si è visto segno.
In questi giorni sono usciti due documenti che meritano di essere meditati anche e soprattutto in vista di elezioni che non saranno molto lontane: il XXII Rapporto sull’Economia Globale e l’Italia curato da Mario Deaglio per il Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi (intitolato “Un futuro da costruire bene”) e il Rapporto del Centro Europa Ricerche “Re-Inventing Europe”. Ambedue pongono l’Italia su un chiaro sentiero europeo, senza troppi “se” e senza troppi “ma”. Sta a noi, solo a noi, aumentare la nostra produttività. Su questa testata abbiamo ricordato che un elemento portante per migliorare la produttività – l’istruzione e la formazione – ha poco rilievo nel “contratto di governo”. Un altro elemento portante (la dotazione di un adeguato parco di infrastrutture) pare scontrarsi con alcune tendenze all’interno di Lega e M5S. Un terzo ancora – l’informatizzazione- che pur dovrebbero essere nel Dna di una delle due forze – viene trattato sporadicamente. Si parla – è vero – di trasformare il Cnel in un Board per la produttività, difficile pensare che con le scelte fatte per la prossima consiliatura possa essere poco più di un parlatorio e di un convegnifico.
Solo con un’Italia più produttiva potremo affrontare meglio le prossime sfide europee e mondiali, quali la riforma della “governance” dell’eurozona e la possibile guerra commerciale. Non si tratta di battere i pugni sul tavolo – di solito una mossa poco utile -, ma di dimostrare a noi stessi e agli altri che siamo all’altezza. Unica strada per il cambiamento in meglio.