È sempre inelegante citarsi, ma il Sussidiario l’aveva detto e ridetto che la fusione tra Wind e Tre era stata il capolavoro del suicidio perfetto per i “telefonisti” italiani (pardon: stranieri operanti in Italia). La partenza dei servizi di telefonia cellulare targata Iliad in Italia, appena annunciata dal gruppo che fa capo all’imprenditore-outsider francese Xavier Niel, conferma ampiamente quelle facili profezie. Al solo apparire dei termini economici dell’offerta con cui i francesi sono esordito sul mercato italiano, le maggiori società di analisi finanziaria hanno rivisto al ribasso mediamente del 10% i prezzi target delle azioni di Tim, cioè attorno agli 0,90 euro (che peraltro già oggi il mercato considera eccessivi, visto che dopo gli ultimi ribassi “savoniani” ieri il titolo ha chiuso a 0,70).



Gli esperti non schierati – quindi pochissimi! – stimano che il primo milione di clienti sarà facile trovarlo: sono quelli ai quali Iliad garantisce “per sempre” il prezzo-lancio di 5,99 euro per 30 giga di traffico al mese verso numeri fissi e mobili in Europa (oltre 60 destinazioni, in Europa e in Usa, Canada, Alaska, Hawaii) con minuti e sms illimitati e 2 giga in più per i viaggi europei, senza scaglionamenti infra-mensili. Poi si vedrà il come e il quando Iliad riuscirà a dispiegare la sua forza, perché dovrà fare i conti con la palude della burocrazia italiana soprattutto per quanto riguarda la complessità distributiva oltre che con i microboicottaggi dei partner tecnologici “forzati”, prima fra tutti Wind-Tre che deve mettere a disposizione la sua rete per diktat dell’Antitrust europeo. E lo farà, sia chiaro, ma quando all’operaio cade il cacciavite nel tombino sotto il palo dov’è fissato il ripetitore da connettere al concorrente sgradito, la squadra deve rientrare ed esce magari nuovamente dieci giorni più tardi, e intanto il concorrente aspetta, e questo genere di sabotaggi invisibili ha costellato con le sue prodezze il decollo di tutti gli outsider del mercato italiano, da Omnitel a Fastweb, e la storia si ripeterà.



L’amministratore delegato di Iliad in Italia, Benedetto Levi, ha detto che la copertura del territorio è già praticamente al cento per cento – ma questo l’hanno sempre detto tutti anche quando non era poi così vero – e che invece per la realizzazione di una rete di trasmissione proprietaria ci vorranno anni. La burocrazia invischierà una delle risorse-chiave che Iliad ha usato in Francia per affermarsi, cioè la distribuzione digitale, via Internet: in Italia per abbonarsi ai servizi telefonici occorre essere identificati fisicamente, quindi andare in un punto vendita tradizionale documenti d’identità alla mano (viene da ridere: con tutti gli abbonamenti sottoscritti da immigrati clandestini!) e firmare qualcosa, il che limita l’utilizzabilità di Internet solo alla fase promozionale della vendita, ma bisogna poi comunque spedire il cliente in un negozio.



Iliad programma di aprirne un bel po’, oppure convenzionarsi con tabaccherie e simili: ma non sarà un’operazione né facile, né immediata. Cosa resta, però, di imbattibile nella offerta dei francesi? Banalmente: il prezzo, da vera low-cost. E ovvio che a pagare la metà della media qualche danno lo si deve mettere in conto: esattamente come accade volando con RyanAir: spazi irrisori, zero fronzoli, sedili scomodi, caos in coda, posti non preassegnati, un deprimente “effetto torpedone” che chi vola con le compagnie aeree tradizionali non patisce. Ma quando ti rendi conto di poter andare da Milano a Londra – due orette – per 150 euro contro 300, la puzza al naso evapora subito. E questo accadrà con Iliad nei telefoni.

Perché allora parlare di “suicidio perfetto” a proposito della fusione Wind-Tre? Perché l’inconfessata ragione originaria che spinse i due padroni delle due aziende a fondere – cioè il magnate russo Mikhail Fridman e il cinese di Hong Koing Li Ka-Shing – fu quella di unirsi per smettere di farsi concorrenza e alzare sia pur di poco i prezzi minimi offerti ai clienti. Ecco perché le altalenanti notizie sulle loro trattative furono seguite col cuore in gola da Tim e Vodafone, perché l’idea che i due concorrenti più “risparmiosi” – che costringevano con la loro aggressività commerciale anche i due big a tenere bassi i prezzi – alzassero i loro, faceva sperare all’intero comparto di poter guadagnare di più sulla pelle degli utilizzatori. Ma la mitica Margrethe Vestager, commissaria europea alla Concorrenza, non aveva l’anello al naso e intercettò subito il piano, imponendo come condizione per l’autorizzazione della fusione che sul mercato entrasse un quarto gestore col diritto di utilizzare la rete dei due promessi sposi. Detto fatto, spuntò Iliad.

Sia chiaro: nessun lutto. Tim e Vodafone guadagnano talmente tanto che limare i margini enormi che maturano sul costo industriale dei loro servizi, circa il 40% di ebitda, sarà come rinunciare al dolce a fine pasto, non certo far la fame. Ma mentre Vodafone dovrà semplicemente rassegnarsi a essere un po’ meno ingorda – a meno che scandalosamente il governo italiano, se mai nascerà, non gli permetta di fare tagli al personale – Tim, oppressa da una montagna di debiti, continuerà a restarvi sotto, come schiacciata. È la triste sintesi di quel che resta dell’ex primo mercato europeo della telefonia mobile, tutto svenduto a soci stranieri finanziari, unicamente determinati a spillare quattrini.

Ah, sia chiaro: Iliad è uguale, non vuole certo beneficare nessuno altro che il proprio azionariato. Ma partendo da zero, nasce con costi fissi bassissimi, ha automatizzato tutto l’automatizzabile e risparmierà per questo cifre iperboliche sul personale (per ora 200 persone, anche se dicono di voler puntare a 1.000) sia nel “back-office” amministrativo, sia nell’assistenza clienti. Perciò potrà contemporaneamente stracciare i prezzi senza vendere sotto costo, e dunque far soldi.