Non ci si può sorprendere che nell’attuale evoluzione sociale, contraddistinta dalla complessità e dal cambiamento, sia difficile trovare un filo d’Arianna per giudicare prima e prendere poi le decisioni corrette nella vita sociale e politica. Le ideologie sono (fortunatamente) superate, la politica è stata sottomessa all’economia, la quale a sua volta è stata schiacciata dalla finanza. Quella che era diventata una delle grandi e illusorie battaglie del ’68, la lotta al sistema imperialistico delle multinazionali, è tornata d’attualità con la concentrazione di potere nelle aziende-piattaforma che sul web costruiscono nuovi paradigmi nella moltiplicazione del valore.
E le esperienze degli ultimi decenni ci dicono che sono cresciute le disuguaglianze tra i paesi e all’interno dei paesi, anche se non vanno sottovalutati i passi in avanti dei valori che vanno oltre il reddito o la ricchezza: l’allungamento della vita media, così come l’estensione delle cure sanitarie e l’ampliamento dell’istruzione, sono tutti elementi che non possiamo dare per scontati nel valutare il progresso sociale.
C’è tuttavia, e crescente, lo scontento sociale, con una diffusione di quel rancore che avvelena non solo la dimensione politica, ma anche i rapporti personali. E uno dei più gravi rischi sul fronte della coesione sociale appare il progressivo indebolimento del ceto medio con una concentrazione della ricchezza verso i pochi appartenenti alla fascia alta e un’estensione delle condizioni di povertà anche a chi ha un reddito da lavoro. Già Aristotele ammoniva che “quando viene a mancare la classe di mezzo e i poveri acquisiscono la prevalenza numerica la vita politica si corrompe e le città cadono rapidamente in rovina”.
E si può aggiungere alla riflessione politica di Aristotele la considerazione che nella società contemporanea anche le imprese costituiscono uno dei pilastri su cui si fonda insieme allo sviluppo anche la coesione sociale. Un grande storico come Samuel Huntington ha sostenuto che “tra tutti gli ostacoli allo sviluppo democratico uno dei principali, probabilmente il principale, è la povertà.” Di fronte a questa realtà la risposta tradizionale è quella di proporre l’opposizione logica ai teoremi sociali: se è in crisi il mercato ci vuole più Stato, se il capitalismo ha perso la spinta propulsiva bisogna guardare al comunismo, se i ricchi sono troppo ricchi bisogna espropriare la loro ricchezza per darla ai poveri. Costruzioni ideologiche con non toccano il cuore del problema.
E allora si dimostra molto utile un’impostazione provocatoria e politicamente scorretta come quella di Giulio Sapelli nel suo ultimo libro “Oltre il capitalismo” (Ed. Guerini e associati, 2018). Un libro dove si parte dimostrando i limiti, se non il fallimento, del modello costruito sulla dialettica tra Stato e mercato per proporre una riflessione appassionata sul ruolo della persona, della comunità, dei corpi intermedi, delle imprese not for profit, della sussidiarietà. Una riflessione tanto più importante in un mondo dove rischiano di avere il sopravvento le macchine e quindi i robot da una parte e dall’altra i dati e quindi le grandi potenzialità di calcolo, di elaborazione, di comunicazione. Un mondo dove tutto ha un prezzo, ma si perdono i valori delle cose, delle azioni e delle persone. Un mondo dove il pilota automatico dei parametri contabili rischia di spegnere tutto ciò che non rientra nella logica del progresso sull’altare del Pil.
Ed è molto significativo che Sapelli abbia deciso di concludere le sue riflessioni con un ricordo di una delle più grandi e significative personalità italiana: Adriano Olivetti e il suo impegno a 360 gradi. Un imprenditore che ha avuto il coraggio di pronunciare queste parole inaugurando uno stabilimento nel Sud: “Lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica partecipiamo alla sua vita pulsante, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale”. E la forza spirituale è qualcosa di molto concreto, è quello che può muovere le persone a guardare con fiducia e passione alla comunità in cui si vive. Per riscoprire l’umanità, una parola che ha un doppio significato: il sentimento personale nel guardare al prossimo e l’insieme di tutte le persone che vivono sul pianeta.
Grazie quindi a Giulio Sapelli per la sua capacità di farci riflettere su questi temi al di fuori degli schemi, non per costruito anticonformismo, ma per sincera passione per i entrambi i lati dell’umanità.