Nella Grecia antica c’era gente che meditava sul significato dell’esistenza. Lo facevano nelle scuole, alla tribuna, qualcuno sotto un albero. Molto tempo dopo, in ben altri luoghi, con ben altri modi di dire e modi per dirlo si misero a filosofeggiare pure quelli del “cosa/come/perché”; lo dissero, ebbero ascolto. I primi furono esiliati in ricetti a meditar se stessi, i secondi a generare senso fornendo significati a chicchessia; buoni per far fare la spesa. I primi dicevano a gratis, i secondi dicono a fine di lucro, ma tant’è!
Nel tempo andato c’erano pure madri, padri e un sacco di figli; i figli avevano genitori che, armati dell’esperienza/di poca pazienza/una cinta e i precetti morali tramandati, incutevano rispetto. Il resto del lavoro lo facevano i supplenti. Già, gli insegnanti sapevano quel che mancava di sapere per stare al mondo. Con in testa il programma ministeriale, sopra la predella, dietro la cattedra, davanti la lavagna e con il gesso in mano lo trasferivano a chi quello ancora non sapeva. La cosa incuteva rispetto; per guadagnare cotanto vantaggio i discenti li stavano a sentire, tant’è.
Quando arriva il tempo d’oggi, e siamo al digitale, in quel tempo senza tempo e spazio i nativi si emancipano, gli altri si attardano. Internet li smarca, i tutorial di Youtube li mettono all’angolo; gli smartphone li disabilitano. Le competenze digitali sono un alfabeto senza il quale diventa complicato insegnare a leggere, scrivere, far di conto e farsi dar retta; proprio là, dove lo stringare semplifica la vita.
Già, quando i discepoli con i 280 caratteri di Twitter quella vita l’apprendono o la raccontano come fosse un codice binario [1], hai voglia a dir di più. Pure l’attenzione, striminzita dagli spot, non può far di più, altrimenti… che barba! Ecco, agli attardati digitali accade questo: obsoleti! “Sistemi di comunicazione” andati a male; mortificati nel ruolo, indipercuiposcia, nel remunero! Vengono picchiati dai genitori perché hanno guardato storto quei loro figli che se ne fregano delle lezioni.
Giust’appunto genitori degenerati, di figli celibi e alunni sincretici… peggio che andar di notte; anch’essi obsoleti, tanto quanto un megafono. Sì, in un mondo dove tutto è sempre nuovo di zecca non conta l’esperienza, anzi zavorra. Nel tempo del nihilismo compiuto i precetti te li sbatti; in quello del “se mi tocchi ti denuncio” con la cinta ti ci impicchi! Tutt’alpiù parenti, che stanno chiusi in case dove le emoticon hanno preso il posto delle emozioni; il remoto sta più vicino del prossimo asserragliato dietro password inviolabili e pin indecifrabili. Gente stremata insomma e senza alcun credito che tenta di ri-accreditarsi con la prole, screditando a botte quelli già, per altre vie, ampiamente screditati. Sì, va così!
Beh, ciò visto discorrendo, facciamo quattro conti. Che tra i vecchi e i nuovi filosofi i primi si lagnino, i secondi intaschino risulta noto. Che il credito, per aver tappezzato il mondo di pubblicità paghi, pure! Già, ma… se per generare ricchezza occorre far la spesa e più se ne fa più si avrà, chi cacchio la farà? I genitori, con quel che di questi tempi passa il convento? I figli, con le paghette e/o i lavoretti? Quegli insegnanti dal credito in discesa e i portafogli pure?
Se tanto ci dà tanto… vuoi vedere che tutta ‘sta reclame te la sbatti… vuoi vedere che toccherà rivedere il merito di credito pure da ‘sti nuovi filosofi del lucro?
[1] Bello/brutto, buono/cattivo, alto/basso, rosso/nero, ragione/torto…