Conte, Savona, Tria, Salvini, Di Maio… Ma dove andremo a parare con il primo governo giallo-verde-tecnico che la rutilante storia della Repubblica italiana ha messo in campo lo spiega più di cento editoriali quella piccola, grande mossa decisa dalla Lega: cancellare dal muro del quartier generale leghista di via Bellerio a Milano la scritta «Basta Euro». Vi si leggono ancora le scritte «Lega Nord» e «la libertà vince», e, vicina, l’effige di Alberto da Giussano con spadone annesso. Ma la paroletta “Padania” – non proprio il massimo per un partito che esprime il vicepremier del governo nazionale e non padano – dopo “Lega Nord”, e il logo “basta euro” con tanto di “€” al posto della “e” non si leggono più da l’altro ieri. Secondo le cronache locali sarebbe “ordinaria manutenzione” dell’intonaco del muraglione. Sì, ma che tempismo!



La verità è che il governo giallo-verde-tecnico che sta insediandosi in Italia è un capolavoro di acrobatico trasformismo. Una roba che Agostino Depretis, ideatore della formula nel lontano 1882, sarà lì a brindare: “Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?”, disse l’allora presidente del Consiglio… E dunque la mossa – davvero degna del gioco delle tre carte – di spostare la carta dello scandalo Paolo Savona dalla poltrona cruciale di ministro dell’Economia a quella appariscente ma priva di poteri esecutivi di ministro per le Politiche europee dovrebbe far ridere, se non lasciasse sbalorditi. Come pure la scelta di Giovanni Tria per il ministero dell’Economia, un economista di vaglia, sicuramente, che però ha operosamente collaborato alla stesura dell’ultimo programma di Forza Italia e che è in contenzioso con lo Stato per una nomina sottrattagli…



Da una parte, dunque, le dinamiche politiche pure, con Di Maio che avrebbe deciso di “stringere” per tornare al governo politico riaprendo al dialogo con Mattarella dopo gli schiamazzi sull’impeachment di quattro giorni fa grazie ad alcuni sondaggi che lo avrebbero confortato, e con Salvini che, sicuro di andare al Viminale, vuole corroborare la sua presa presso la base elettorale intervenendo subito contro gli sbarchi. E con Savona che, dopo essersi irrigidito contro Mattarella, di fronte all’idea di un cambio di casella e di una convocazione del suo amico Tria all’Economia avrebbe finalmente detto sì, e far cambiare idea al cocciuto sardo è stato un vero segno del destino.



Inevitabile che, all’annuncio dell’accordo, partissero le ipotesi sul programma che in materia economica il nuovo governo svolgerà, e dunque sulle idee di Tria. E in quella sconfinata “memoria collettiva” che è il web, dove tutto lascia traccia, gli scritti del professore ordinario di Politica economica alla Facoltà di economia di Tor Vergata sono lì ad attestarne le convinzioni. Tutte da rivedere, ora, in ragione del contesto politico ed economico reale nel quale dovrà trasformarle in atto.

Di chiaro – e quindi di immutabile – c’è che Tria, 69 anni, è un economista con oltre 40 anni di esperienza accademica all’attivo, nei settori della macroeconomia, delle politiche dei prezzi, delle politiche di sviluppo economico, della valutazione di investimenti pubblici, del ruolo delle istituzioni nel processo di crescita. Insomma: capirne, ci capisce. Sarebbe di orientamento neokeynesiano, gli accreditano una buona amicizia col premio Nobel Phelps… Quando venne reso noto il “contratto” di governo Lega-Cinquestelle, Tria lo commentò sul sito Formiche. Con toni da distante e anche un po’ diffidente osservatore, che mai avrebbero lasciato supporre che l’autore potesse di lì a pochissimo ritrovarsi a cogestire quel contratto: “Non sappiamo ancora cosa sarà questo reddito di cittadinanza e, quindi, le risorse richieste e l’ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata, (e tale da avvicinarla a sistemi già presenti in altri paesi europei, come ad esempio in Francia, certamente più generosa dell’Italia con chi perde il lavoro) e magari estesa a chi è in cerca di primo impiego, e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma”. Una discreta stroncatura.

Molto più aperturista il commento sull’ipotesi flat-tax: “Più interessante è l’obiettivo della flat tax che coincide con l’obiettivo di riduzione della pressione fiscale come condizione di una politica di crescita, soprattutto se si vede questo obiettivo non tanto come un modo per aumentare il reddito spendibile di famiglie e imprese, e quindi sostenere la domanda interna, ma come un modo per aumentare il rendimento dei fattori produttivi, lavoro e capitale, e quindi anche degli investimenti. Naturalmente, conterà anche in questo caso la sua declinazione specifica per valutarne la sostenibilità – avvertiva Tria – . Si parla di partire con una doppia aliquota. La questione è tecnicamente complessa, ma ciò che conta è avviare il processo di semplificazione del sistema e la sua sostenibilità dipende non tanto dall’aliquota unica o le due aliquote, ma dal livello delle aliquote”.

Insomma: molto buon senso e pragmatismo. In linea con la storia italiana: sparate gradasse al momento della propaganda, ragion pratica quando si mettono le mani in pasta.