Buongiorno Ministro Tria, non vorrei apparirle sgarbato per aver saccheggiato, indebitamente, stralci del suo dire accademico. L’ho fatto, ne sono responsabile. Bene, mi sembra lei nutra dubbi su uno dei cardini del contratto di governo a cui dovrà dare copertura economica: “Non sappiamo ancora cosa sarà questo reddito di cittadinanza e, quindi, le risorse richieste e l’ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata, e magari estesa a chi è in cerca di primo impiego, e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma”.



Nutro parte delle stesse perplessità, alle quali mi permetta di aggiungere come, nell’esser “cittadino”, non si configuri un esercizio produttivo che, in quanto tale, debba essere retribuito. Nutro, da economaio che scrive a un economista, altresì il dubbio che lei, sbirciando, possa scorgere altro dalla configurata società dove si produce e si consuma. Una gran bella società dove, piaccia o meno, questo s’ha da fare per generare la ricchezza che occorre per poter esser prospera.



Società, dove il produrre è condizione necessaria, ma…. nient’affatto sufficiente per generare quella ricchezza e dove la pratica del consumare deve farsi invece indifferibile per garantirne i due terzi. Già, dove la crescita si fa con la spesa aggregata, non con la produzione, né con il lavoro. Sì, funziona così! Orbene nel borsellino, adeguato alla bisogna per sostenere il potere d’acquisto e rispondere a quell’indifferibilità, sta il problema che, nel raschiare il fondo del barile con lo spostamento del prelievo fiscale, dell’Iva si/no/ni e la flat tax, non viene risolto.



L’irresolutezza sta in un vecchio paradigma, ancora agente, che ha reso il problema del borsellino un enigma, attribuendo ai soggetti economici onori e oneri, impropri. Sì, perché prima del borsellino sta quel lavoro che lo rifocilla. Quel lavoro, appunto, che mostra in forma esplicita i corni dell’enigma: paga il prezzo d’una capacità d’impresa inutilizzata che riduce l’occupazione e/o il remunero degli occupati e che, funzione accessoria per l’esercizio di consumo, mancando di rifocillare proprio il borsellino rende gli agenti economici ancor più sovraccapaci. In questo sta l’azzardo, reso spendibile da quel vecchio paradigma che rischia di azzoppare quel prefisso “cambiamento” reclamato dal Governo con il quale si è accinto a collaborare.

Bene sono stato renitente al voto, non intendo altresì sottrarmi a dar contributo per rimuovere l’impaccio generato da quel meccanismo di trasferimento della ricchezza, dall’impresa alla spesa, attraverso il remunero del lavoro. Vista la mole di lavoro del suo agire ministeriale e l’impaccio, a mio dire, di quel vecchio paradigma, mi prendo la libertà di proporne la sostituzione con uno nuovo di zecca, che le recapito nella forma stringata di un tweet: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca trasferire quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa remunerando Tutti sottrarre sovraccapacità alle imprese, migliora la produttività totale dei fattori, tiene attivo il ciclo economico”.