Venerdì sera, a mercati chiusi, il Tesoro ha comunicato l’ammontare dei titoli a medio lungo termine offerti nell’asta di metà mese in programma il prossimo mercoledì. È stata l’occasione per giudicare lo stato d’animo che si respira al ministero dopo una settimana vissuta sotto una forte e crescente pressione, culminata, sempre venerdì, in un aumento dello spread oltre 270 punti (di nuovo ai massimi) e del rendimento del Btp decennale al 3,1%. A confermare che l’umore è nero, ci ha già pensato l’annuncio che l’offerta sui Bot a 12 mesi sarà di soli 6 miliardi, meno dei 6,5 miliardi in scadenza. Per l’asta di mercoledì l’ufficio studi di Banca Intesa non esclude che, per evitare un flop pericoloso, anche sul piano psicologico, il Tesoro limiterà la richiesta a soli 4 miliardi.
Dietro queste cifre c’è la crescente sfiducia per la capacità, ma ancor più della volontà del governo italiano di onorare il debito che, si sa, è già al di là del 132% del Pil. I numeri dello sbilancio italiano, infatti, sono sulla carta ben sostenibili. Il Tesoro ha fatto una cospicua raccolta nei primi cinque mesi dell’anno, raccogliendo il 60% abbondante della carta necessaria per il 2018. Il fabbisogno pubblico, al netto degli interessi, segnala ancora un surplus. Anche la prospettiva del tapering, cioè la fine degli acquisti da parte della Bce entro la fine dell’anno, non suscita in sé grande allarme: Banca d’Italia, che ha in corpo 350 miliardi di tutoli acquisiti in questi anni, avrà a disposizione assieme al partner altri 100 miliardi derivanti dagli interessi sui titoli in portafoglio, da investire in nuovi acquisti. La sfida, insomma, è sostenibile, soprattutto a medio termine.
Ma a ricordarci che la paura dei mercati è dietro l’angolo è la corsa a vendere i titoli a breve, indice eloquente che tra i gestori dei risparmi di tutto il pianeta si sta diffondendo la sensazione che l’Italia possa offrire pessime sorprese di qui alla fine del 2019. Dichiara al New York Times il gestore hedge Bernd Ondruch: “Finora abbiamo misurato il rischio politico. Ora bisogna affrontare quello finanziario”. Lui, che ha studiato per tempo il fenomeno 5 Stelle partecipando a meeting romani, è abbastanza tranquillo: grazie alle vendite allo scoperto di queste settimane su Btp e Piazza Affari il suo fondo ha già incassato grosse plusvalenze. Altri, come il “re dei bond” Bill Gross piangono: il tonfo dei titoli italiani ha compromesso la sua strategia, imperniata sull’avvicinamento tra i tassi dell’eurozona e quelli Usa.
In numeri, il fenomeno si manifesta con l’impennata dei rendimenti dei titoli a due anni, trattati venerdì mattina a un tasso dell’1,72% contro l’1,514% del finale di seduta di giovedì. In linea con il sorpasso del rendimento dei Bot a nove mesi (0,79%) rispetto ai titoli greci di eguale durata (0,75%). Un dato clamoroso, quasi impensabile poche settimane fa. Un’apparente follia perché l’economia italiana è senz’altro assai più robusta di quella di Atene. Ma la Grecia, agganciata a un programma di risanamento finanziario assistito dall’Ue e con la garanzia della volontà (nei fatti, non solo a parole) di restare nell’euro dà più fiducia dell’Italia, ancora alle prese con l’ubriacatura post-elettorale che non accenna a calare. Non si tratta, insomma, di un complotto dei “poteri forti”, il mitico Bilderberg riunito a Torino, ma di una crisi di sfiducia nei confronti di un Paese che ha messo in cantiere più di 150 miliardi di spese (senza tener conto di quel che occorre per evitare l’aumento dell’Iva) senza preoccuparsi di procurarsi nuove entrate.
Basta così. Nel prossimo futuro ci sarà modo di tornare più volte sull’apparente follia italiana. Ma un dato è certo: siamo entrati in un tunnel politico al fondo del quale per ora non s’ intravvede alcuna luce. La vivacità dello spread e, per tutta risposta, la raffica di progetti di spesa del governo sembrano fatti apposta per prendere le misure dell’interlocutore. Soffriranno le aziende, così come i portafogli dei risparmiatori, magari drogati nel breve da benefici provvisori a breve. Soffrirà, però, anche l’Eurozona, così com’è stata progettata e gestita in chiave tedesca. La sindrome italiana può contagiare il resto dell’Europa mediterranea o, più facile, far saltare gli equilibri interni della Germania dove cresce la tentazione euroscettica. È un gioco pericoloso, ma ci siamo dentro.