Il governo giallo-verde, dunque, vuole rivisitare la riforma delle Popolari. Non, prevedibilmente, per cancellarla o riportare le lancette indietro di tre anni. Non servirebbe a riportare in vita Popolare di Vicenza, Veneto Banca o Banca Etruria; né a riavvolgere da Spa a cooperative Ubi o Bper; né a sciogliere la fusione fra Banco e Bpm e la definitiva omologazione del nuovo gruppo a Intesa Sanpaolo e UniCredit come public company quotate. E allora?
Ci sono, anzitutto, due Popolari – Sondrio e Bari – che avrebbero dovuto trasformarsi in Spa e non l’hanno dovuto fare perché, ancora a fine 2016, il Consiglio di Stato accolse un ricorso per incostituzionalità e sospese la riforma. Ma lo scorso 21 marzo – dopo il voto – la Corte costituzionale ha respinto l’istanza e ora – in teoria – il Consiglio di Stato dovrebbe rifissare a breve (il 12 luglio) i termini per la trasformazione in Spa. Ma il governo potrebbe intervenire, si vedrà con quali strumenti. Con quali obiettivi, tuttavia, si comincia a intuire.
Popolare Sondrio – gruppo uscito con un soddisfacente grado di salute dalla lunga crisi – potrebbe essere anzitutto il perno di un riassetto per linee interne del residuo credito cooperativo: a cominciare dalla stabilizzazione del Credito Valtellinese, cugino-competitor di casa. Il Creval è stato trasformato in Spa e dopo una ricapitalizzazione-salvataggio da 700 milioni è oggi controllato da un pool di fondi internazionali, che affiancano l’unico socio rilevante, il gruppo francese Dumont. È una situazione chiaramente transitoria, che potrebbe essere interessata da una “riforma della riforma” che segnalasse un nuovo indirizzo di politica creditizia: più attento all’offerta di servizi bancari a famiglie e imprese sui territori.
Un aggiustamento di tiro sulle Popolari potrebbe essere affiancato da altre misure. Ad esempio, una correzione in corsa della riforma del Credito cooperativo, oggi approdata a un doppio cantiere di gruppo: attorno a Iccrea – a lungo istituto centrale dell’intero sistema; e l’iniziativa scissionista promossa dalla trentina Cassa Centrale Banca, a fianco di un sottogruppo in Alto Adige. La spaccatura di un movimento storicamente unico è procedura fra molto contrasti, dopo una riforma che fin dapprincipio ha portato le impronte di Matteo Renzi e del suo “cerchio magico”: decisi a rottamare un importante corpo intermedio del sistema-Paese pur di “avere una banca” (già utile, peraltro, alla recente candidatura difensiva di Maria Elena Boschi a Bolzano). La frammentazione delle Bcc in due blocchi non ha mai fugato le riserve della Banca d’Italia sul versante della solidità patrimoniale e della competitività strategica.
Anche in questo caso dei ritocchi più o meno incisivi o strutturali sarebbero inseriti nella prospettiva del miglioramento del credito all’economia che resta il cardine del “contratto di governo” fra Lega e M5s. Qui l’orizzonte più ambizioso e impegnativo è però anche quello più trasparentemente delineato: l’aggancio di Mps (oggi controllato dal Tesoro dopo un salvataggio pubblico da 5 miliardi) alla Cassa depositi e prestiti. Quest’ultima assumerebbe con Montepaschi un profilo più marcato di “banca pubblica di credito e sviluppo per le imprese”. E non è detto che questa progetto possa incrociare le “ri-riforme” del grande e piccolo credito cooperativo.