C’è tanta roba, nella relazione che Mario Nava – da poche settimane presidente della Consob, la commissione di controllo sulle società e la Borsa – ha presentato al mercato per la prima volta nel suo mandato settennale. C’è la voglia e l’impegno per una piena trasparenza delle proposte d’investimento verso i risparmiatori: non centinaia di pagine di “bugiardini” illeggibili, ma spiegazioni e impegni chiari. E c’è l’impegno per potenziare la Borsa, chiudendo il gap tra “l’ottava potenza economica del mondo e la diciassettesima piazza finanziaria”. Bello.
E poi c’è la promessa – facile soggettivamente, visto che è appena arrivato, ma pesante – che la “sua” Consob praticherà una vigilanza proattiva, “che vuole anticipare, facilitare e orientare, una vigilanza sostanziale che aiuta il lato dell’offerta e tutela la domanda e non una vigilanza solo formale o solo sanzionatoria”. In trasparenza, queste parole non dovrebbero essere suonate come una melodia alle orecchie del predecessore di Nava, Giuseppe Vegas, e di tutta l’imponente tecnostruttura della commissione, perché ne sono l’implicita, severissima critica. La vigilanza esercitata fino a ieri viene bollata come “solo formale o solo sanzionatoria”.
E di più: verso la politica decolla un missile terra-terra (per carità, sacrosanto!), e cioè l’avvertimento che “i mercati sono essenziali per la nostra prosperità, ma sono anche una cosa delicata che bisogna evitare di perturbare. Il rispetto dell’indipendenza della Consob e il rispetto dei delicati meccanismi di mercato da parte di tutti gli operatori di mercato e di tutti i decisori politici è essenziale per la stabilità e la prosperità economica del paese”.
Questo genere di enunciati è stato confezionato dal presidente esordiente in un involucro di lucida autostima, ed è comprensibile, anche se fa un po’ sorridere definire se stesso – alto funzionario alla Commissione europea – “una persona sostanziale, forse perché gli anni fuori dall’Italia mi hanno depurato dall’eccesso di formalismo”. Lo sarà di certo a livello personale, ma per chiunque viva – come imprenditore, rappresentante d’interessi o semplice cittadino – la realtà dei rapporti burocratici con la Commissione, definire gli uffici di Bruxelles come il tempio del sostanzialismo è un po’ come definire Sodoma come la capitale della castità. Ma tant’è.
Lo spirito da “grand commis”, il nobile approccio da “civil servant” dimostrato da Nava è riassunto dalla determinazione con la quale ha chiesto e ottenuto come condizione per accettare la nomina – essendo lui, appunto, funzionario europeo dipendente della commissione – di restare nel ruolo e di venire a Roma con la formula del “distacco” e non con quella, di prassi, dell’aspettativa. L’aspettativa è una formula che, in sostanza, preserva la titolarità del posto di lavoro a chi la ottenga, ma “congela” gli effetti dell’anzianità; il distacco invece lascia procedere l’anzianità aziendale con i relativi “scatti” e comporta anche la tutela dell’invarianza retributiva, particolare che onestamente non rileva per Nava, il cui compenso ricade comunque nel “tetto” generale dei 240mila euro all’anno per i funzionari pubblici.
Ma su questo apparente cavillo si è aperto un gran lavorio giuridico tra ministero e Quirinale, ai tempi della nomina del neopresidente, per verificare la praticabilità di una soluzione senza precedenti: verifica poi effettuata con successo – prosit – ma, come dire: l’entusiasmo per l’altissimo incarico ricevuto dal governo si è rivelato agevolmente temperabile da questa personale e pragmaticissima sollecitudine.
Sul futuro prossimo del rapporto tra Nava e la politica grava però un’ipoteca, quella dei pessimi rapporti con il partito di riferimento dell’attuale maggioranza giallo-verde, i 5 Stelle, ma anche con l’altro partner della maggioranza, la Lega. Che fu, anzi, la prima a eccepire, in Parlamento, con un’interrogazione urgente in Senato al premier Paolo Gentiloni e al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, in cui si chiedeva “se non ritengano opportuno riconsiderare” la nomina di Mario Nava a presidente dell’Authority di Borsa, visto che ha scelto di restare un dipendente della Commissione europea, in netto contrasto con la legge istitutiva della Consob che impone l’aspettativa “a tutela dell’indipendenza del ruolo”. Gli avevano fatto eco i pentastellati con un testo firmato, tra gli altri, dai “big” Elio Lannutti, Vito Crimi e Paola Taverna: “L’escamotage del distacco triennale per non perdere la posizione e i benefici di carriera in seno alla Commissione Ue, non garantisce – scrivevano i grillini nella loro interrogazione – l’imparzialità e l’indipendenza che sarebbero invece scaturite dalla soluzione dell’aspettativa. Inoltre il distacco per tre anni genera una discrasia inaccettabile rispetto al mandato presso l’Authority di Borsa, che è invece settennale”.
Insomma, premesse peggiori non avrebbero potuto essercene, ed è un bene – nel superiore interesse della Repubblica – che il capo della Commissione sia oggi immune da interferenze dirette dell’esecutivo o del Parlamento, una volta incassata la nomina dal vecchio governo e confermata dal Quirinale la designazione. Ma certo Nava dovrà dimostrare sul campo la concretezza di questa sua impegnativa promessa di passare dal formalismo al sostanzialismo. E ritrovandosi seduto su una montagna di formalismi non gli sarà così facile. Per quanto la differenza tra distacco e aspettativa – tutt’altro che formale – abbia dimostrato di saperla riconoscere e difendere assai bene.
Auguriamoci dunque che sappia difendere gli interessi degli italiani bene quanto ha difeso i suoi.