Sul picco dello spread dopo la nomina del nuovo presidente del Consiglio si continuano a fare analisi. Oltre ai timori per le politiche di un governo “populista”, potenzialmente anti-euro e sicuramente contrario alle politiche di “austerity”, qualcuno ha ipotizzato un ruolo della Bce.
Le statistiche sugli acquisti di titoli pubblici della Bce nel mese di maggio segnalano che proprio in questo mese gli acquisti di titoli pubblici italiani sul totale degli acquisti netti mensili siano stati, in percentuale, i più bassi dall’inizio del Qe. Qualcuno ha motivato questa dinamica con alcune, sfortunate, coincidenze tecniche che proprio a maggio 2018 si sono verificate e che hanno determinato un incremento vertiginoso di acquisti di titoli di Stato tedeschi e un rallentamento degli acquisti di BTp. È possibile, anche se molti hanno notato non tanto un’ondata di vendite, quanto la scomparsa di compratori.
È comunque difficile spiegarsi l’esplosione del rendimento del bond a due anni che al culmine della crisi è arrivato a rendere quasi il 3% e che oggi, dopo qualche giorno, rende l’1%. Nessuna Banca centrale ha battuto un colpo per fermare una fase di alta volatilità, che rischia di scatenare una spirale speculativa che si sa sempre dove inizia, ma mai dove finisce. Gli estremi di volatilità/speculazione che si sono visti sulle scadenze a breve, il rendimento del bond a due anni, sono davvero difficili da spiegare se non con un’assenza di qualsiasi, anche minima, difesa. Possiamo discutere all’infinito sulla bontà delle politiche economiche che questo governo ha intenzione di attuare.
Possiamo discutere delle colpe o dei meriti dell’Italia dall’introduzione dell’euro, ma non c’è molto da discutere se al solo proposito di cambiare alcuni elementi della politica economica un governo, indebitato come il nostro, si trova senza alcuna copertura della sua Banca centrale. Significa che questa discussione, nel momento stesso in cui viene posta, si svolge in una fase di alta volatilità dei mercati.
Questo ha conseguenze sia sulla forza contrattuale con cui ci si presenta in Europa, quella di un Paese sotto attacco, sia sulla volontà politica necessaria per perseverare, anche in totale buona fede, nel provare a incidere sulle politiche europee. Facciamo finta di avere il governo più europeista del continente: se la richiesta di maggiore attenzione alla crescita e un po’ più di flessibilità sul deficit ha come contesto quello dello spread a 500, è chiaro come certe proposte siano destinate a rimanere un tabù; almeno per i Paesi indebitati o per quelli che non controllano le istituzioni europee.
Non ci sono molti dubbi che l’attacco speculativo dell’ultima settimana sia avvenuto anche perché la Bce non è intervenuta; non ci spingiamo a dire che ci sia stata una complicità. Si potrebbe giustificare, come inevitabile, una linea d’azione con cui si risponde a un governo, quello italiano, che manifesta la volontà di perseguire una politica al di fuori delle regole dell’Unione europea o contro; anche se, in realtà, facendone parte, avremmo diritto a cambiarle come chiunque altro. In questo senso molti, in Italia, giustificano questo “peccato di omissione” con cui si corregge un governo populista e irresponsabile (possiamo accettarlo, anche se rimane aperta la questione di quale sia l’organo democratico europeo in cui si cambiano le politiche europee).
Ma allora ci si deve chiedere se ci siano altre politiche, oltre a quelle di bilancio, che meritano “l’omissione” della Bce. Le politiche di bilancio sono un tema molto sensibile in alcuni elettorati europei e a molti fa comodo che l’Italia rimanga “colonia” quando si invade la Libia o quando si comprano banche e imprese; non c’è niente di cui scandalizzarsi. Anche le politiche sull’immigrazione sono molto sensibili. Su questo tema si vincono o si perdono le elezioni in Germania, Francia e Spagna, esattamente come in Italia.
Non è chiaro, o forse sì, quali sarebbero le conseguenze politiche in Francia, Germania, Spagna o Belgio se l’ondata migratoria che ha interessato l’Italia semplicemente si trasferisse in un altro Paese; sicuramente più “populismo”. La risposta “europea”, soprattutto dopo la “caduta” della Libia, ha seguito uno schema che ha lasciato alcuni Paesi molto più indenni di altri. Se l’entrata o l’uscita dal campo della Bce è, in qualche modo, legata al rispetto o meno di certi parametri economici che non possono essere modificati, ma che la Francia per esempio può ignorare per quasi dieci anni, ci chiediamo se ci siano altri “schemi” il cui mancato rispetto può risultare in un’uscita dal campo della Bce anche fosse per un interesse, cinico ed elettorale, dei Paesi che controllano le istituzioni europee.
In altre parole, ci chiediamo se l’arma dello spread, giusta o sbagliata che sia, e la sua esplosione, via assenza della Banca centrale, quando la speculazione colpisce un Paese indebitato (a causa delle politiche economiche) possa essere usata, in futuro, anche come risposta a una richiesta di cambiamento delle politiche migratorie o del peso che tocca a un singolo Paese. Tecnicamente sì, nella misura in cui la Bce esce dal campo nel momento sbagliato.