In una giornata borsistica abbastanza complicata per le banche italiane ieri spiccava, in positivo, il titolo di banca Monte Paschi; la ragione si trova facilmente in alcuni rumors circolati ieri di un possibile interesse di Credit Agricole. L’ipotesi potrebbe avere senso considerato che Credit Agricole è già tra le prime dieci banche italiane per dimensione degli attivi e che con la fusione si porterebbe al terzo posto appena dietro Unicredit e Intesa Sanpaolo e sostanzialmente sullo stesso livello di Banco Bpm.



Questa stessa settimana ha visto un’altra ipotesi farsi strada tra i rumors circolati sulla stampa, dato che si è nuovamente parlato di una possibile fusione tra Unicredit e Socgen; la banca italiana, guidata da un ad francese, ha già venduto la propria società di prodotti del risparmio gestito al colosso francese Amundi. È di appena qualche mese l’acquisizione da parte di Credit Agricole/Indosuez di Banca Leonardo.



L’interesse di Credit Agricole per il mercato bancario italiano più che un rumor sembra un fatto. Crediamo che il filo rosso che lega le ultime evoluzioni sia l’appetibilità del risparmio degli italiani, che è sicuramente tra gli asset migliori rimasti da questo lato delle Alpi; non crediamo di essere molto lontani dalla verità viste le ipotesi, sempre degli ultimi giorni, di un interesse di BlackRock per una quota di Eurizon.

Quando si comprano o si vendono banche, soprattutto se occupano posizioni da podio, si parla sempre di operazioni di “sistema”; in questo caso una delle due banche coinvolte vede persino come azionista di maggioranza lo Stato italiano. Non c’è “il mercato”, perché si tocca il cuore di un sistema Paese e certe operazioni sono impensabili senza un assenso di tutte le parti in causa, di tutti i sistemi Paesi o, per sintetizzare brutalmente, della “politica” che quanto meno avalla.



Ricordiamo a questo proposito un rumor che per mesi ha aleggiato tra gli investitori italiani, e non solo, di un accordo tra Renzi e Hollande con cui si disegnavano una serie di fusioni tra società italiane e francesi. Una leggenda che sicuramente spiegherebbe l’esplosione di operazioni sull’asse Francia/Italia degli ultimi due anni; tutte operazioni a cuore aperto nel sistema Paese italiano e impensabili senza un qualche tipo di appoggio politico: Mediaset/Vivendi, Telecom Italia/Vivendi, Fincantieri/Stx, Pioneer/Amundi eccetera.

Vista la storia è legittimo sollevare una domanda sull’esistenza o meno di un accordo “quadro” tra Italia e Francia all’interno del quale si collocano tutte le acquisizioni francesi in Italia e quale sia la contropartita per l’Italia. Forse la contropartita è una mano nei rapporti con l’Europa, in particolare con la Germania, anche se, dal punto di vista dei conti pubblici, sarebbero due zoppi che si aiutano, visto che la Francia ha il surplus primario più basso d’Europa e secondo noi, dal lato dei conti pubblici, l’Italia ha solo da perdere a farsi vedere in tale, pessima, compagnia; sul lato delle riforme, ricordiamo che in Francia ci sono ancora le 35 ore, mentre noi abbiamo abolito il contratto a tempo indeterminato.

La campagna d’Italia che ha fatto la Francia negli ultimi vent’anni, con metodo e strategia, oggi mette i transalpini nelle condizioni di essere quelli che più hanno da perdere in Europa da un’eventuale rottura disordinata dell’euro. In un certo senso sono obbligati o hanno ogni interesse a evitare per l’Italia lo scenario peggiore e un’uscita dall’euro. Il vertice di ieri conferma questo rapporto “malato” con i proclami di cooperazione per cambiare l’Europa e il rafforzamento delle alleanze nel campo industriale.

L’Italia vende una sua quota di minoranza o maggioranza alla Francia in chiave anti-tedesca, pensando di mettere la Francia nella condizione di dover difendere l’Italia. Si lega in modo indissolubile, aumentando la posta sul tavolo europeo con la Germania che, in un certo senso, per condannare l’Italia deve condannare anche la Francia, mentre l’Italia nel condominio europeo dà una delega in bianco ai francesi.

È una scelta miope e perdente, perché la Francia non ci è amica, come si rende palese ogni giorno sulla questione migranti e come abbiamo imparato dopo la guerra in Libia, e perché la Germania non si fa, e non si farà problemi, se e quando l’euro arriverà al redde rationem. Al momento del dunque, se l’euro non coinciderà più con i propri interessi, la Germania scaricherà chi deve scaricare in qualsiasi condizione. Se l’Italia pensa di essere protetta dietro la neo-linea Maginot francese c’è di che preoccuparsi.

In tutto questo il punto più problematico, almeno per noi, è la mancanza di trasparenza. Nella storia economico-finanziaria italiana degli ultimi dieci anni si può leggere chiaramente un disegno sull’asse francese/europeo in cui la Francia ha costruito una posizione sull’Italia equiparabile solo a quella di una colonia: banche, assicurazioni, energia, lusso, industria, cantieristica, autostrade, telecomunicazioni, media eccetera. Su questo disegno gli italiani non solo non sono mai stati interpellati, ma non hanno mai nemmeno avuto la possibilità di esprimersi, perché essendo avvenuto tutto dietro le quinte non si sa chi, nell’agone politico o del sistema Paese, l’abbia portato avanti.

Almeno nelle urne si sarebbe potuto votare contro chi ha condotto l’Italia in questo rapporto malato, dove una parte è succube dell’altra e che certo non impressiona i tedeschi.