Dopo la giornata di ieri non ci togliamo dalla testa la mitica introduzione agli interventi di Carcarlo Pravettoni quando le più astruse spiegazioni finivano per giustificare il movimento all’insù della borsa, con la lira che immancabilmente “si impenna”. È nato il governo giallo-verde e la borsa si impenna. La ragione è semplicissima: non abbiamo un governo anti-euro e quindi tutto rimane sui binari di sempre, rimaniamo in uno scenario che tutti hanno imparato a leggere e la Bce, scomparsa momentaneamente, farà il suo lavoro.



All’interno dell’euro, brutto, medio o bellissimo che sia, tutto procede secondo il piano di volo di un pilota automatico. Il pareggio di bilancio è in Costituzione, i parametri imposti dall’Europa, almeno per noi, sono immodificabili, la Bce risponde alle esigenze della media dell’economia dell’eurozona, nessun Parlamento europeo può cambiare niente. Tutto è uguale e tutto è noto. I “mercati” possono leggere molto bene la traiettoria della barca dell’euro che continuerà a muoversi come si è mossa finora. Siccome non c’è nessun Parlamento europeo che non può decidere niente tutto si gioca secondo uno schema già conosciuto. Il ventaglio di opzioni possibili è molto più ristretto e l’elemento di rottura è stato, almeno nel breve periodo, evitato. Chiedere valutazioni di lungo periodo ai mercati in questa fase è impensabile.



In questi giorni abbiamo letto gli appelli di un conte piemontese (ci scusiamo se è un errore, ma non siamo esperti di nobiltà sabauda) che spiegava ai povery perché è brutto uscire dall’euro. Ci viene in mente la mitica intervista a Lavinia Borromeo sul “Corriere magazine” del 2005: Ha amici poveri? “Poveri poveri no”. E come mai non ha amici poveri? “Dipende da che cosa si intende per povertà. Parliamo di persone che debbono lavorare per mantenersi?”. Chi non ha un lavoro e non ha risparmi deve aver assistito a questi dibattiti con un senso di straniamento. Avrà pensato: ma a me cosa importa dell’euro o della lira se in banca non ho un ghello e sono disoccupato? Al 25% di disoccupati greci non importa nulla di avere in banca euro o dracme perché il saldo è zero; lo stesso vale per il 55% di giovani disoccupati calabresi. A loro importa eccome di avere un lavoro e l’unico metro di giudizio è se le possibilità di averlo aumentino o diminuiscano dentro l’euro. Che lo stipendio sia in lire o in euro è un dettaglio davvero secondario e nessuno si dispiace se con le lire fa le vacanze sullo Ionio e non a Copa Cabana.



Prima o poi ci sarà una fase di rallentamento globale. Non ci immaginiamo scenari apocalittici; solo una semplice fase di contrazione economica come ce ne sono state negli ultimi 70 anni. L’Europa reagirà come ha sempre fatto chiedendo un surplus di austerity ai Paesi indebitati? Se sì l’euro vivrà una nuova fase di spinte centrifughe e noi vorremo vedere con che spiegazioni si giustificherà l’austerity, mentre in Germania la disoccupazione è sotto il 5%, in Paesi dove i bambini arrivano malnutriti a scuola (sempre la Grecia, non il Botswana).

Secondo una certa scuola di pensiero all’interno dell’euro c’è la migliore possibilità di sviluppo per tutti, anche per gli italiani; è vero, ma a patto che ci siano meccanismi di redistribuzione interna e la sovranità di tutti i suoi membri sia condivisa da un parlamento votato da tutti per fare leggi su tutti con le tasse di tutti. Secondo l’altra scuola di pensiero l’euro, così com’è, ha prodotto e produce una povertà senza precedenti nella periferia e un’esplosione delle differenze. Nel secondo caso la dinamica a cui assistiamo è questa: l’ideologia dell’euro e dell’Europa a prescindere da una sua riforma e a tutti i costi nonostante le tragedie che provoca produce esattamente quei populismi che poi vengono censurati e guardati con orrore dagli ideologi dell’euro a prescindere, normalmente finanzieri, professori universitari, giornalisti di grido, conti di vario ordine e grado, ecc.; “populismi” guardati con orrore perché pieni di poveri ignoranti che non si rassegnano a lasciarsi condurre dalla magnanimità dei ricchi di cui sopra innamorati di una moneta fatta dai ricchi e dagli intellettuali e che finora ha lavorato per i ricchi e gli intellettuali e in cui infatti i poveri, la gente normale, non possono votare (lo fanno, ma non conta niente; c’è qualcuno con il coraggio di dire che il Parlamento europeo conta qualcosa?); i poveri finalmente privati dell’unica vera difesa, un voto in grado di cambiare, chissà come mai si lamentano.

Senza un’immediata riforma radicale dell’Europa, i populismi non potranno che, in fasi cicliche, rafforzarsi e soprattutto, incattivirsi, fino al punto di essere in grado di rompere il gioco. Il corollario è che più passa il tempo, con questa Europa e questo euro, più si rischia che diventino cattivi e più saranno i cocci da raccogliere.