Questa è la prima intervista, concessa in esclusiva a Ilsussidiario.net, dal prof. Paolo Savona dopo la sua nomina a ministro per gli Affari europei. Disponibile anche in versione inglese.
Nella sua prima intervista da quando è diventato ministro per gli Affari europei, il professor Paolo Savona ha voluto essere molto attento. È un accademico di vecchio stampo, che ha trascorso mezzo secolo della sua vita prestando servizio nelle istituzioni finanziarie italiane in posizioni dirigenziali. È stato a capo del dipartimento di ricerca della Banca d’Italia, direttore generale di Confindustria, ministro dell’Industria e capo del Fondo interbancario di tutela dei depositi.
Tuttavia, recentemente è diventato il ministro più controverso di un governo già controverso a causa delle sue opinioni sulla moneta europea, l’euro.
Quando si vociferava che dovesse diventare ministro dell’Economia, c’è stato un picco nel differenziale, spread, tra titoli di stato italiani a 10 anni (BTP) e Bund tedeschi della stessa scadenza, un indicatore delle tensioni del mercato sul futuro dell’Italia. L’Italia è troppo grande per fallire, quindi un improvviso e consistente aumento dei tassi d’interesse dei BTP in Italia a causa della mancanza di fiducia nelle politiche del governo potrebbe sfuggire di controllo e mettere in moto una crisi finanziaria globale.
L’economista sardo, con la passione per l’econometria e la strategia globale e un debole per esempi forti per illustrare meglio le sue idee, vuole essere chiaro. In occasione del lancio del suo libro il 12 giugno a Roma, in una sala piena di giornalisti da tutto il mondo, ha sottolineato che non ha mai voluto lasciare l’euro e, invece, ritiene che la moneta unica non solo sia positiva ma indispensabile. Ciononostante, ritiene che l’euro necessiti di riforme e che il modello economico orientato all’esportazione adottato finora dalla Germania abbia bisogno di cambiamenti poiché questo modello è anche una delle ragioni della crescita dei movimenti populisti in tutto il continente.
Il suo primo incarico come ministro dell’Economia nel nuovo governo italiano ha scatenato un’enorme controversia mondiale. È stato accusato di essere contro l’euro e di proporre “QuItaly”, la versione italiana della Brexit in cui l’Italia avrebbe abbandonato la moneta unica. Cosa c’è di vero in questo?
No, questo è volutamente falso. Ho sempre sostenuto che l’Italia abbia assolutamente bisogno del mercato comune. Quanto è successo dal trattato di Roma in poi conferma la sua importanza per la crescita italiana. Per avere un mercato unico, è necessario avere una moneta unica, senza la quale l’unità del mercato sarebbe rotta. La mia posizione è che la costruzione del Trattato del 1992 è incompleta e dovrebbe essere migliorata se l’Europa intende superare i suoi tormenti interni e fare i conti da un punto di vista geopolitico e geoeconomico. Naturalmente, queste riforme non possono essere attuate da un giorno all’altro. È necessario attendere la commissione e trovare un accordo, un consenso, tra i partner.
La Germania è spaventata, sentendosi intrappolata tra i partner europei “indisciplinati” nell’Ue, i crescenti movimenti neonazisti e un’Unione dove non è chiaro come riformare. Cosa può fare l’Italia per la Germania?
L’Italia deve riconoscere l’importanza della Germania sulla scena mondiale. Le debolezze dei paesi membri dell’Unione si riflettono nel futuro geopolitico della Germania e, pertanto, è nel suo stesso interesse aiutare quei paesi a uscire dalle loro situazioni negative. Se la Germania si limita a sollevare problemi e imporre vincoli invece di indicare soluzioni, i movimenti antieuropei saranno rafforzati, potrebbero destabilizzare l’Europa e riaprire vecchie ferite che non sono ancora state sanate. La soluzione ideale potrebbe essere che la Ue offra nuove soluzioni per guidare le forze di crescita, soddisfacendo le esigenze di molti paesi europei, tra cui l’Italia. Gli Stati Uniti non hanno intenzione di ripetere la loro intelligente e costosa politica e le prestazioni del dopoguerra per aiutare l’Europa a uscire dalle ferite che si è autoinflitte. Questa volta dobbiamo affrontare i problemi da soli.
Lei fa parte dell’establishment italiano. Hai lavorato nella Banca centrale ed è stato un buon amico di almeno due presidenti, Cossiga e Ciampi, quindi perché ora è con i populisti? Chi sono?
Proclamare altezzosamente e sdegnosamente che le elezioni del 4 marzo sono state vinte dai populisti equivale a non riuscire a cogliere ciò che sta accadendo in Italia e in Europa al momento, e a cercare di accantonare la “rivolta” popolare in corso. Le forze del cambiamento, con tutte le sue ben note contraddizioni, sono state, per il momento, incanalate nelle istituzioni democratiche dalla Lega e dal M5s. Se alcune élite globali intendono reagire a questo con la denigrazione e accendendo una crisi finanziaria, potrebbero innescare una reazione politica molto più ampia e molto più indesiderabile. Siamo qui per promuovere cambiamenti ragionevoli in Italia e, auspicabilmente, nella Ue, e quindi prevenire rivoluzioni molto più pericolose e molto più massicce in Europa e nel mondo. Speriamo di poterlo fare poiché è nel migliore interesse di tutti.
L’Italia ha bisogno di essere salvata, ma potrebbe questo lavorare contro l’euro? Inoltre, lei ha parlato di riformare l’Unione Europea. Direbbe che queste riforme possono e devono beneficiare individualmente ogni paese (Germania, Francia, Spagna e Regno Unito)?
L’Italia è una solida potenza industriale colpita da un profondo dualismo (territoriale, settoriale, legato alle dimensioni delle imprese) che non può essere risolto con restrizioni poste sull’uso delle risorse. Le famiglie italiane sono grandi risparmiatori. Hanno assets finanziari e reali pari ad almeno quattro volte il debito sovrano. Contrariamente a quello che a volte sentiamo, potremmo dire che noi italiani viviamo al di sotto dei nostri mezzi, come dimostrato dall’eccedenza delle partite correnti del 2,7% del Pil, o circa 50 miliardi di euro, che è l’importo che di fatto manca alla nostra domanda interna. Il bilancio nazionale ha un avanzo primario. Pur avendo contemporaneamente due eccedenze gemelle, un tasso di disoccupazione del 10% (quello attuale in Italia) è il paradosso logico generato dall’aver deciso che i parametri di Maastricht sono l’obiettivo dell’Unione. Pertanto, penso che sia necessario invertire l’ordine di importanza rispetto all’oggetto dell’accordo ribadito all’articolo 3 del trattato di Lisbona. L’accordo ampio e dettagliato sottolinea la necessità di una crescita globale ben oltre i piccoli vincoli di alcuni parametri fiscali. Riconosce la necessità della piena occupazione e del progresso sociale. I due parametri fiscali invece sono diventati i veri obiettivi dell’accordo.
Quindi, per quanto riguarda il convitato di pietra — gli Stati Uniti — che rapporto pensa dovrebbe esserci tra l’Ue e l’euro con gli Stati Uniti e il dollaro americano?
È molto importante stabilire relazioni di cooperazione tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea che portino a una riforma del regime monetario internazionale. Il mercato globale ha bisogno di un’unica moneta di riferimento come quello che succede con l’euro per il mercato unico europeo. I paesi che accettano di seguire lo stesso regime di cambio e di rispettarlo devono essere autorizzati a partecipare al Wto (l’Organizzazione del commercio mondiale), dove la concorrenza si deve basare anche sulla stabilità dei tassi di cambio. Mancando questa condizione, ogni paese sceglie il cambio che gli si addice, mantenendo il mercato finanziario in uno stato di destabilizzazione permanente. La competizione mondiale non è solo una questione di tariffe.
(Francesco Sisci)