Più senesi che rossi. Ma in quanto senesi, rossi. Per 74 anni il dominio monocolore del governo cittadino, a Siena, era rimasto incardinato sul Pci e sui suoi derivati: Pds, Ulivo, Pd. Con varie nouances, ma quello era. C’era stata una lunga e fiammeggiante fase dalemiana, con la luogotenenza di Franco Bassanini in loco e la delega piena a Giuseppe Mussari, per anni presidente della Fondazione, poi della Banca, firmatario, a quanto pare inconsapevole, della colossale acquisizione della Banca Popolare Antonveneta allo stratosferico prezzo di 9 miliardi di euro, che ha definitivamente affossato il Monte.



Chi, soprattutto da fuori Siena, osava parlarne – dentro le mura non era igienico – si azzardava a individuare nessi tra il dominio dei post-comunisti nelle due casseforti della città, la Fondazione Montepaschi e la banca da essa controllata, il Monte dei Paschi di Siena, la più antica del mondo ancora in vita, e la forza elettorale del partito. Come un gigantesco voto di scambio. Roba che al confronto il comandante Lauro – quello delle due scarpe regalate agli elettori, una prima e l’altra dopo il voto – ne uscirebbe come un dilettante. Malignità.



Sta di fatto che alle prime consultazioni elettorali successive al commissariamento e alla nazionalizzazione del Monte – due mosse che hanno oltretutto suggellato l’evaporazione della Fondazione Mps dal controllo dell’istituto – i post-comunisti hanno perso. Di misura, ma indecorosamente, visto che lo sfidante era un avvocato relativamente distinto dai business della banca, mentre il loro candidato, che era poi il sindaco uscente Bruno Valentini, era un amministratore locale con un bel po’ di esperienza – due mandati da sindaco nella bellissima Monteriggioni – e soprattutto era un alto funzionario del Montepaschi. Ed è anche alla sua banca che Valentini ha fatto riferimento, commentando a caldo la notizia: “Siena è una città divisa, lo abbiamo visto da queste elezioni. Speravo che la ferita, dovuta alle ultime vicende che hanno investito la città, fosse oramai sanata”. Capirai: sanata.



La banca non va bene, nonostante i miliardi pubblici che l’hanno ricapitalizzata: e un altro esponente storico di Siena e della Banca, Alberto Monaci – democristiano passato al Pd e sfidante, respinto, di Enrico Rossi alla presidenza della Regione – non ha esitato a mettere in relazione la sconfitta di Valentini a una sua asserita “collusione” sul piano segreto che l’attuale amministratore delegato del Monte, Marco Morelli, avrebbe elaborato per svendere l’istituto alla JpMorgan… “Il sindaco Valentini”, aveva scritto Monaci in una lettera aperta una ventina di giorni fa, “sa tutto e non protesta”. Vero, falso: vallo a scoprire.

Certo è che la “company town” senese, da sempre legata mani e piedi alla banca, ha seppellito nel crack dell’istituto non solo il povero David Rossi – vittima, impossibile non pensarlo rivedendo foto autoptiche e filmati, di un finto suicidio – ma anche quel che restava di un’appartenenza politica che era evidentemente diventata soprattutto appartenenza di interessi. “La gente aveva bisogno di un cambiamento”, commentano in molti, compreso il neo-sindaco vincitore.

Si vedrà se sarà un vero cambiamento o, come nell’esasperato gioco delle contrade in lotta al Palio e prima, sarà solo un cambiare cantone nel gioco dei quattro cantoni.

Miglior lezione dovrebbe trarla da questa storiaccia il Pd nazionale che, pur negli anni renzianissimi della centralità toscana, non ha evidentemente saputo sfruttare le nicchie di presidio che aveva in Centro Italia per farvi leva e costruire un consolidamento politico possibile. La crisi finanziaria ha prosciugato la grande mammella che più o meno direttamente nutriva quasi tutti a Siena, e il collante politico che aveva retto per 74 anni si è sciolto come neve al sole. Quando si dice l’ideale.