Il sentiero stretto di memoria padoana (da Padoan) si ripropone oggi tal quale e forse con qualche asperità in più sul terreno. Come ha detto il neo ministro dell’Economia, Giovanni Tria, l’intenzione di questo governo è rilanciare la crescita senza far salire il debito pubblico. Almeno in rapporto con il Pil del Paese. Il tutto tenendo fede alle promesse elettorali dei partiti usciti vincitori dalle urne, Lega e M5s, che vogliono rivedere la legge Fornero sulle pensioni, avviare il reddito di cittadinanza, introdurre la flat tax. Tre misure che, occhio e croce, quotano una settantina di miliardi di euro.



Le fonti di approvvigionamento – spiegano Salvini e Di Maio – possono essere molte, non escluse quelle europee. Che possono essere mobilitate soprattutto in due direzioni: verso misure di alleggerimento della disoccupazione e verso un ampio programma d’infrastrutture materiali e immateriali.

Soprattutto quest’ultima misura – un ampio programma d’infrastrutture – è ritenuta essenziale per far ripartire il motore dell’economia, essendo noto a tutti il favorevole moltiplicatore delle costruzioni e l’effetto immediato che si può avere nel mondo delle imprese, delle professioni, del lavoro.



Stimolando l’aumento del Pil – questo il ragionamento –, migliora automaticamente il rapporto con il debito pubblico, disinnescando il pericolo che può derivare da un suo momentaneo innalzamento, dovuto alla necessità di dare un primo colpo al volàno che metta in moto il circolo virtuoso.

Su questa capacità taumaturgica della spesa in ponti, strade, porti, aeroporti, ferrovie, reti telematiche e tutto quello che può rendere il sistema più efficiente e competitivo, sono in molti a dubitare, non certo per sfiducia nella teoria, ma per le perplessità nella capacità pratica di fare le scelte giuste.



Troppi errori, troppi sprechi, troppi scandali hanno accompagnato la realizzazione di opere pubbliche nel remoto e recente passato – e la cronaca s’incarica di ricordarlo anche oggi – per poter nutrire in questo rimedio la sufficiente dose di fiducia e superare così i mal di pancia di chi si oppone.

Ma una via per cominciare a dare corpo ai contenuti del contratto di governo si deve pur trovare e imboccare. E questa delle costruzioni e delle infrastrutture appare comunque la più veloce e sicura. L’unica in grado di muovere, assieme agli investimenti privati, la macchina dell’economia. E poiché, come si ricordava in premessa, il sentiero continua a essere stretto, è velleitario pensare e proporre di farvi passare tutto l’armamentario ritenuto indispensabile per dar corpo al progetto politico dell’attuale maggioranza. Alla meno peggio si sconterebbe un effetto ingolfamento.

E poi c’è l’Europa che ci guarda con il sospetto che si riserva a chi per troppo tempo ha tentato di fare il furbetto, promettendo soluzioni salvifiche al solo scopo di comprare tempo e punti di flessibilità (possibilità di fare deficit) senza mai andare in fondo alle promesse fatte.

Una nuova ripartenza dovrebbe tener conto delle esperienze maturate in tutti questi anni di rapporti difficili e conflittuali. Il piano da costruire e presentare alla comunità che deve valutarlo – all’interno e all’esterno dei confini nazionali – dovrà procedere per priorità seriamente concatenate.