Ieri in un articolo apparso su Repubblica l’economista Roberto Perotti ha provato a spiegare l’attuale dibattito europeo con la metafora del condominio, in cui “Angela guadagna bene, ha un appartamento dignitoso e ha quasi finito di pagare il mutuo. Giuseppe abita in un bell’appartamento al di sopra delle sue possibilità, ha quasi tutto il mutuo da pagare ed è spesso in difficoltà con le rate. Nonostante questo non vuole lavorare di più e meglio, anzi organizza spesso feste, che oltretutto ogni tanto disturbano Angela e la sua famiglia. All’assemblea di condominio, Giuseppe propone di mettere insieme i due mutui”. 



Giuseppe sarebbe, ovviamente l’Italia, mentre Angela la Germania. L’Italia suona il mandolino, non lavora e pretende che qualcuno paghi i suoi conti; il tedesco, invece, gran lavoratore, viene fregato. 

Se a leggere il pezzo di Perotti non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. L’unica metafora azzeccata è quella del condominio; in effetti, l’Europa come tutti i condomini non è una democrazia e infatti si vota per millesimi e in proporzione al censo. La metafora di cui sopra non solo non aiuta a capire i problemi europei, ma li interpreta a senso unico, dimenticandosi alcuni dettagli particolari.



Nel condominio europeo nessuno può vendere la propria casa e quando si è indietro con le rate si è costretti a rimanerci senza luce e riscaldamento, continuando a pagare le spese comuni decise dai condòmini con il più alto numero di millesimi. È il caso greco.

Nel condominio europeo ci sono condòmini —la Francia — che non rispettano le regole e su cui l’amministratore chiude sempre un occhio, e ci sono regole che si possono non rispettare e altre sì; per esempio, la Germania può ignorare quelle sul surplus commerciale. La Germania è lo Stato europeo con il più alto numero di infrazioni aperte con l’Europa per non avere adeguato la propria legislazione a quella comune.



La violazione continua delle regole europee da parte tedesca, con un surplus commerciale fuori da ogni regola e buon senso, è la causa ultima del fallimento dell’Europa a cui stiamo assistendo, perché impedisce l’unico meccanismo di aggiustamento possibile. La Germania non spende nemmeno per se stessa per continuare, finché dura, a ottenere il massimo dall’euro senza mettere una lira.

Il fatto che l’Italia non abbia fatto i compiti a casa o tutti i compiti a casa, che l’amministrazione pubblica sia rimasta ferma e che nessuno sia riuscito a renderla più efficiente o a controllarne gli sprechi più evidenti oppure che si sia persa la capacità di progettare a lungo termine, di investire e tutelare i propri settori di punta, non elimina le contraddizioni del progetto europeo. Queste contraddizioni si eliminano solo con un processo, forzato, di maggiore unione, in cui i Paesi forti devono farsi carico degli onori e degli oneri.

La forza, meritatissima, della Germania all’interno dell’euro così come è, rappresenta una forza disgregatrice. Ci domandiamo come si possa pensare di avere una Banca centrale unica e regole uniche per Paesi con la disoccupazione al 4% e altri al 25%, in assenza di qualsiasi meccanismo di redistribuzione interna. Se la Germania non vuole pagare il conto dei Paesi “scrocconi” va benissimo, ma allora l’euro è finito. La soluzione non può essere quella greca, con il debitore costretto a ripagare il suo debito con una mano tagliata, e non si può accettare che i creditori, per quanto bravi, abbiano potere assoluto sui debitori. La Francia resiste per una sua forza politica più che economica, ma nell’attuale meccanismo prima o poi toccherà anche a lei, sempre ammesso che non emerga anche lì una forza populista in risposta alle attuali storture dell’euro.

La questione, in ultima analisi, è questa: l’Italia del nord e l’Italia del sud, che fino a 70 anni fa nemmeno si capivano, sono rimaste insieme perché le imprese del nord pagavano il conto di una valuta debole attraverso la redistribuzione dello Stato centrale. In questo modo si ponevano le basi, nel lungo termine, per una riduzione delle differenze. Oggi l’Europa è un’Italia del sud e un’Italia del nord in cui il nord compete con la valuta debole senza pagare il conto. Più l’Italia del nord — l’Europa tedesca — va bene, peggio è per quella del sud.

Di fronte all’evidenza di una costruzione che moltiplica le differenze e che alimenta “i populismi” la soluzione non può essere una pace conseguente alla morte violenta o dolce di una parte. Questo condominio così come è sembra una prigione o un manicomio, da cui non si può nemmeno uscire. E se dopo vent’anni siamo ancora ai tedeschi laboriosi e agli italiani lazzaroni, ma stiamo peggio perché le differenze sono esplose e i tedeschi stanno in Europa nonostante le sue evidenti storture e i vizi degli italiani, solo perché o solo fino a che conviene, sapendo benissimo che così non potrà mai funzionare, allora bisognerebbe prendere atto della situazione.

Qualcuno ci dovrà, poi, spiegare come mai un popolo di lazzaroni patentati sia riuscito a uscire da una situazione di povertà diffusa in una generazione, dopo aver perso la guerra e senza risorse naturali. Perché si continuano a propinare narrazioni che fanno a pugni con l’evidenza e dimenticano almeno metà della verità?