Ci può essere solo una cosa peggiore di chi afferma, in modo martellante, che il Bitcoin è morto, ed è la menzogna di chi afferma il contrario, ripetendo però lo schema fallimentare delle valute ufficiali, sostenendo alla fine uno schema e un’ideologia morta e sepolta dalla storia. Quella sì davvero morta e sepolta.

L’autore di un improvvido intervento è Steve Bannon, ex capo stratega di Trump, rapidamente messo alla porta forse proprio perché troppo eccentrico e fonte di problemi. Uno che prima di parlare con i propri riferimenti politici affida a un messaggio sui social i propri pensieri politici e strategici. E ora è venuto fuori con l’esaltazione del Bitcoin come strumento sovranista e con l’idea di una criptovaluta italiana legata “ai depositi nazionali di marmo”.

Intanto rimane difficile comprendere cosa significhi la frase “depositi nazionali di marmo”. Infatti non c’è in Italia alcuna istituzione nazionale che possa vantare simili depositi. Non c’è, tanto per fare un paragone, un ente come Bankitalia, con i propri depositi di oro, che però abbia “depositi di marmo”. Scusate se dico una banalità, ma il marmo è una risorsa del territorio, estratta da aziende con apposite concessioni, la cui proprietà è del popolo, amministrata dallo Stato come ogni risorsa naturale.

Ma la cosa più pittoresca è considerare che l’idea di Bannon suppone la presenza di un ente che possa “garantire” il legame tra una criptovaluta e il marmo, cioè legare la quantità di criptovaluta alla quantità (finita) di marmo. Anche si costituisse un simile ente, bisognerebbe comprendere come si possa svolgere questo legame.

La cosa più grave, invece, è l’idea di presupporre che il valore di una moneta possa essere determinato, e soprattutto stabilizzato, dal legame con una materia, con un bene prezioso. In fondo, questa è la vecchia idea di moneta legata a un deposito di oro, idea superata ampiamente dai fatti nel dopoguerra e ufficialmente dal 1971 con l’uscita unilaterale degli Usa dagli accordi di Bretton Woods. Bisogna comprendere che durante la Seconda guerra mondiale molti Stati europei affidarono agli Usa la propria riserva di oro, sia per finanziarsi sia per proteggere il proprio oro in un posto sicuro. Gli accordi di Bretton Woods stabilivano che ogni moneta poteva essere cambiata in dollari stampati dagli Usa, e i dollari in oro. Di fatto con quegli accordi il dollaro diveniva la nuova moneta mondiale, la qual cosa corrispondeva al fatto che gli Usa erano ormai di fatto la nuova potenza mondiale. Ma la larga diffusione dell’industrializzazione e dei commerci rese ben presto obsoleto questo schema e la quantità di dollari generati divenne ben presto molto superiore all’oro depositato. Quindi gli Usa abbandonarono in modo unilaterale gli accordi di Bretton Woods, dichiarando che da quel momento in poi i dollari potevano essere cambiati… con altri dollari.

Insomma, la vera riserva di valore del dollaro era il potere di emettere nuovi dollari. In fondo, la sovranità monetaria è tutta qui. E questo sottolinea la nuova dimensione venuta alla luce riguardo la moneta.

Quello che rendeva stabile il dollaro non era, in realtà, l’oro depositato, ma la fiducia sul dollaro, la fiducia connessa alla moneta. Con l’abolizione di Bretton Woods viene finalmente messo in risalto il fatto che il vero valore sottostante qualsiasi architettura monetaria è la fiducia.

Rimane il fatto che, se si abusa del potere di stampare moneta, questo abuso distrugge la moneta e l’economia. E questo si spiega proprio in virtù del fatto che il valore della moneta è la fiducia e se si abusa della fiducia la stessa fiducia viene distrutta.

Questo aspetto è anche la mia critica più radicale al mondo delle criptovalute, nel quale troppi informatici geniali si vantano di aver costruito uno strumento monetario che “non ha bisogno della fiducia” e nel quale “la legge è il software” o “la legge è il codice”. In un mondo ormai privo di ogni cognizione cristiana ci si è dimenticati del piccolo particolare che anche gli informatici sono esseri umani fallibili e potenzialmente cattivi come tutti gli altri. E proprio per questo alcune di queste nuove criptovalute si sono rivelate delle vere e proprie truffe, cioè delle nuove criptovalute organizzate per ottenere dei finanziamenti, i cui organizzatori, dopo aver preso i soldi, sono spariti lasciando un progetto morto. Quindi il problema della fiducia, messo in crisi dalla moderna crisi finanziaria, è stato tutt’altro che risolto dalle criptovalute.

E l’uscita di Bannon è un clamoroso autogol, perché non solo dimostra di non avere la minima cognizione di cosa sia una moneta e di quale sia il suo vero valore sottostante, ma anche perché dimostra di non avere la minima conoscenza del mercato del marmo. Basti pensare che per il 2017 l’export complessivo di marmo è stato di 2 miliardi di euro, mentre il nostro Pil ammonta a 1.600 miliardi di euro, tanto per dare un ordine di grandezza. Questo è lo stesso problema dell’oro: c’è troppo poco oro nel mondo per poter sostenere gli scambi commerciali di tutto il mondo. Se davvero si realizzasse una moneta avente per valore sottostante il marmo italiano, questa sarebbe inevitabilmente una moneta scarsa per la massa e relativamente abbondante per pochi ricchi. Insomma, scusate se lo ripeto: il grande valore di ogni struttura monetaria è la fiducia, è la ragionevolezza di poter riporre la fiducia in una certa struttura monetaria.

Proprio su questa incomprensione la Bce e le grandi moderne banche centrali hanno fallito la propria missione. L’hanno fallita, perché l’hanno usata e la usano per proteggere la propria casta, quella delle istituzioni bancarie. E non per promuovere il commercio e il benessere dei cittadini. Il cuore del problema è che Draghi e la Bce possono stampare tutta la moneta che vogliono, ma non possono “stampare la fiducia”. La fiducia è proprio un’altra categoria, che dovrebbe metterci sull’avviso che quella monetaria è una categoria spirituale.

Capisco la difficoltà del lettore a comprendere questo tipo di affermazione (anche se i miei lettori più abituali avranno già letto qualcosa del genere), ma che la questione monetaria non sia una questione meramente tecnica lo ha affermato la Chiesa in un suo documento ufficiale tanti anni fa. Nella Lettera Enciclica Quadragesimo Anno, dopo aver descritto le cause della crisi economica (nel 1931 l’Europa era in piena crisi, causata dalla Grande Depressione del 1929), nei paragrafi dedicati ai rimedi Papa Pio XI così si esprimeva: “…per evitare l’estremo dell’individualismo da una parte, come del socialismo dall’altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro” (n. 110).

In tutto il secolo scorso il grande tema dominante è stato quello del lavoro, col risultato di aver trascurato il tema del denaro. Un tema trascurato e ormai incompreso fino ai giorni nostri, nel quale, anche grazie alle fallimentari politiche monetarie americane ed europee, è tornato sotto i riflettori, ma senza un’adeguata comprensione dei suoi termini.

La citazione della “doppia natura” della moneta per noi cattolici non può essere banale e lasciarci indifferenti, poiché richiama fortemente la doppia natura, umana e divina, di Cristo. Però occorre comprendere che non si tratta solo di una labile analogia, si tratta invece di una vera sostanza. Come affermato anche dal professor Massimo Amato nel suo libro “Le radici di una fede”: “Così come la moneta esige di poter riposare su una struttura di fiducia preesistente, la relazione debito-credito preesiste alla sua configurazione propriamente monetaria, e anzi, eccede strutturalmente la dimensione puramente economica della gestione dei pagamenti e delle loro dilazioni. Non è solo l’economico, e cioè la possibilità di una strutturazione dello scambio, a fondarsi sulla relazione debito-credito, ma il politico stesso, ossia la possibilità di una vita comunitaria basata sulla condivisione di una legge. Nessuna economia, nemmeno la più primitiva, può fare a meno del credito, quanto meno nella forma elementare di una fiducia che esista nella sua strutturazione delle relazioni di scambio e di diritto al suo interno. E nessuna economia, nemmeno la più avanzata, può cancellare dimensione da cui essa proviene, ossia la dimensione del bisogno e del credito”. E ancora: “La relazione debito-credito implica necessariamente non solo un aspetto giuridico, dal momento che essa fa sorgere un’obbligazione che pone la questione dei limiti entro i quali l’assunzione di un obbligo e le modalità del suo assolvimento possono risultare lecite, ma anche un aspetto religioso. Tale aspetto, ben attestato dalla storia delle lingue europee, non viene meno nonostante ogni apparenza, neanche nelle società secolarizzate in moderne e ultramoderne: anche queste ultime poggiano su una fede, e forse in modo tanto più religioso quanto meno consapevolmente ammesso”.

Tale aspetto rimane ostico da capire alla nostra mentalità moderna, influenzati come siamo da una idea di economia totalmente materialista. Ma si tratta solo di un influsso culturale moderno, poiché in tutti i tempi precedenti al nostro e in tutte le culture la moneta ha sempre avuto uno stretto legame col mondo religioso. Basti pensare all’episodio narrato dai Vangeli, in cui viene chiesto a Cristo se è lecito pagare il tributo a Cesare. Ovviamente non lo chiedevano a Cristo perché era un esperto fiscalista, ma perché c’era di mezzo una pesante questione religiosa: riconoscere il pagamento del tributo equivaleva, per la mentalità dell’epoca, a riconoscere il valore della effigie sulla moneta, cioè riconoscere l’imperatore e la sua autorità.

Una ulteriore conferma di questo aspetto religioso viene da una fonte insospettabile, un brano che mi permetto di definire delirante: “…La Banca d’Italia, no: la religione della moneta, o, meglio, della sua difesa è rimasta integra nella sua ortodossia… Una religione al servizio di una divinità altamente simbolica, ma altresì una divinità che, se fedelmente servita, è dispensatrice di beni, mentre, quando viene tradita, si fa implacabilmente vendicativa (…) I governatori sono i sacerdoti addetti al suo culto. Se non fossero pienamente indipendenti e soggiacessero a poteri esterni la loro qualità liturgica verrebbe meno”. Questo brano è tratto dall’editoriale scritto dal giornalista Mario Pirani e apparso sul quotidiano La Repubblica il 1° giugno 1994.

Proprio l’utilizzo di tanti termini religiosi rende evidente come l’architettura monetaria sia una struttura di tipo religioso La moneta è una promessa, il cui contenuto è riassumibile con la seguente formula: “dandoti questa moneta (in cambio di un bene) prometto di accettare la stessa forma di pagamento come compenso per il mio lavoro”. Per questo motivo nel Medioevo la finanza era definita come il luogo dove avevano fine le controversie tra debitori e creditori. Svolgendosi nel tempo, questa promessa ha insito un elemento inevitabile di rischio. Per moderare tale rischio vengono assunte delle regole e norme, letteralmente dei riti, il rispetto dei quali rende ragionevole la fiducia. Ma norme e regole implicano una qualche autorità che fissi queste norme e regole e poi abbia la forza per farle rispettare. Noi cristiani sappiamo che ogni autorità (anche quella del potere civile) viene da Dio. E lo sapevano bene anche gli antichi Romani, per i quali mettere in discussione l’autorità romana implicava mettere in discussione la divinità dell’imperatore.

L’ideologia modernista, invece, vuole negare esplicitamente ogni riferimento religioso e quindi delegare la gestione della moneta ad una questione puramente tecnica, da affidare agli esperti di turno. Ma il carattere valoriale, spirituale e religioso della moneta è una realtà: non può essere cancellata da un’ideologia, per quanto dominante.

Hanno cercato di farla gestire dagli esperti, ma quando è scoppiata la crisi, ancora attuale, nel 2007 cosa ci hanno raccontato? Perché i titoli bancari nell’agosto 2007 hanno iniziato a precipitare? Perché le banche hanno smesso di prestarsi denaro tra di loro. E perché hanno smesso di farlo? Perché hanno smesso di fidarsi le une delle altre (a causa dei titoli tossici e dei mutui subprime). In un mondo dominato dalla tecnologia e dall’ideologia, quando è venuta a mancare la fiducia è crollato tutto, in modo così grave che ancora non ci siamo ripresi e tutti si aspettano un nuovo crollo. Come mai? Ovvio: come già detto né la Fed né la Bce possono stampare e diffondere fiducia, non è il loro compito e non ne hanno nemmeno i mezzi.

Tutto questo rende ancora più evidente quanto sia necessaria la sovranità monetaria. Non è in gioco solo un certo tipo di assetto economico e finanziario, ma è in gioco soprattutto un assetto valoriale, lo stesso che è in gioco quando si decide, cioè si governa la moneta, di stampare per salvare le banche, e invece si lasciano chiudere gli ospedali o crollare le scuole e i ponti, perché non ci sono i soldi.

Dobbiamo comprendere che la moneta è una convenzione portatrice di valori, per cui l’affermazione “non ci sono i soldi” è come dire “non abbiamo valori per sostenere quell’investimento, perché i nostri valori sono altri, le nostre priorità sono altre”. E non dobbiamo sorprenderci se, alla fine, si scopre che questi “altri valori” sono gli interessi dei poteri forti.

Quindi la sovranità monetaria dev’essere riconquistata non per sostenere qualche becero nazionalismo, ma per poter costruire una società e una civiltà fondata sui valori. In questa ottica si comprendono meglio sia la follia della proposta di Bannon che l’inadeguatezza delle istituzioni europee.