Mentre l’Italia è immersa in un caos politico di difficile soluzione (e questo dimostra il vuoto lasciato dall’operazione Mani Pulite che nella sua giusta drasticità non ha permesso un ricambio generazionale degno di questo nome), il thrilling Alitalia (dopo le comiche di Calenda) si arricchisce di un nuovo filone: l’alleanza, pardon, la partnership con Etihad.
Chi scrive era l’unico giornalista italiano presente due anni fa alla conferenza stampa di presentazione dell’accordo di codeshare con Aerolineas Argentinas svoltosi a Buenos Aires. In rappresentanza di Alitalia c’era una manager Etihad, che magnificava la svolta che una compagnia aerea con 70 anni di storia aveva compiuto dopo l’unione con il vettore emiratino, fortemente voluta da un Renzi che ne sbandierava il decollo e la quantità industriale di benefici che sarebbero dovuti arrivare. Ancora una volta la superbia della politica e la mancanza di un Sistema-Paese hanno raggiunto l’esatto opposto, quello dell’ennesima indagine che riguarda gli Ad dell’epoca Etihad con l’accusa di bancarotta fraudolenta: Silvano Cassano, Luca Cordero di Montezemolo e l’australiano Cramer Ball.
Ora è lapalissiano pensare che anche se con un 49% fatto su misura per aggirare le norme Ue, Etihad avesse preso le redini di un’Alitalia che si è messa a fare la figura dello scolaretto per imparare da maestri che fino a una decina di ani fa manco esistevano o quasi. Siamo d’accordo sul fatto che oggi i soldi fanno la differenza e che aver licenziato nel 2009 10.000 addetti dotati di know-how costato miliardi, oltre alla messa in liquidazione dell’area di manutenzione, che aveva pure lei un know-how riconosciuto a livello mondiale in un settore che era ed è redditizio oltreché strategico, costituiscono due errori che hanno letteralmente buttato dalla finestra competenze poi difficili da recuperare.
Di solito quando una compagnia aerea ne acquisisce un’altra non lo fa per beneficenza, ma punta dritto sui suoi assets per appropriarsene : rotte e sistemi informatici che poi passano direttamente a suo vantaggio, cancellando il vettore acquisito: guarda caso, oltre a una gestione “curiosa”, gli slot su Londra di Alitalia, richiestissimi sul mercato, sono finiti venduti per una cifra ridicola, mentre il Club Mille Miglia, con i dati informatici di tutti i passeggeri business o clienti fissi, è anche lui finito nelle proprietà del vettore emiratino.
Quanto sono lontani i tempi in cui, facendo visitare a Renzi l’aeroporto di Abu Dhabi, mostrandogli gli hangar pieni di velivoli di lungo raggio di cui anche ora Alitalia ha bisogno se vuole risorgere, un dirigente Etihad disse: “Vedete questi aerei? Non li stiamo usando e potreste utilizzarli voi”. Difatti alla fine arrivò un 340 Airbus… come aereo presidenziale e con un costo di leasing esagerato. È proprio ora non solo di cambiare rotta, ma che i colpevoli delle gestioni che hanno portato Alitalia verso due fallimenti in pochi anni paghino per i loro errori.
Sogno irrealizzabile? Forse no, per lo meno il giorno in cui, risolto il dilemma politico, si deciderà finalmente questo Paese cosa vuol fare da grande. I numeri ci sono e anche i cervelli: all’opera quindi!