È certamente suggestiva l’immagine della “nottola di Minerva” con cui Hegel stigmatizzava il pensiero speculativo, che alla fine sarebbe capace di cogliere il senso delle vicende storiche; forse un po’ banalizzando potremmo parlare di una riflessione che si svolge sempre a cose fatte, al crepuscolo, quando tutto è accaduto e niente è più modificabile, lasciando, in fondo – aggiungo io – un senso di impotenza. È quello che ho provato in questi giorni, osservando le fasi concitate che sta attraversando il nostro Paese.



La prima considerazione è, infatti, l’apparente inutilità di un sistema democratico elettorale, visto che il premier e soprattutto il ministero dell’Economia devono essere di gradimento dei mercati e di Bruxelles/Berlino per tirare a campare. Pur essendo montato su tutte le furie di fronte alla frase pronunciata dal Commissario europeo al Bilancio, Oettinger, che nell’interpretazione – ahimè fedele – data da chi l’ha intervistato suonerebbe: “i mercati insegneranno agli italiani a votare per la cosa giusta” (per inciso, anche nella versione più edulcorata diffusa dopo il malinteso e le scuse, il senso non varia granché), bisogna ammettere che il problema è serio. 



Partiamo da “lontano”, cioè da quanto successo circa due settimane fa. L’emissione della 13a tranche del Btp Italia, il Titolo di Stato indicizzato all’inflazione, si è conclusa con una raccolta di 7,7 miliardi di euro, un risultato ampiamente positivo; ma, durante il collocamento, le prime bozze del contratto di governo Lega-Movimento 5 Stelle, diciamo un po’ troppo costose e non molto europeiste, sono bastate ad accendere la tensione sul mercato, incrementando i rendimenti dei Btp su tutte le scadenze: il titolo decennale, che funge da parametro di riferimento per la misura dello “spread” rispetto all’analogo titolo tedesco, ha registrato un rendimento superiore al 2% (+0,35% rispetto alla settimana precedente). Tornando al Btp Italia, per renderne appetibile la sottoscrizione, il Tesoro ha aumentato dello 0,15% il tasso minimo reale, portandolo allo 0,55%, in risposta alle mutate condizioni del mercato; secondo stime effettuate da Il Sole 24 Ore, tale incremento si traduce in un maggior costo per lo Stato di circa 92 milioni di euro. Si tratta di un piccolo e “all’epoca” non preoccupante saggio di quello che potrebbe significare per le finanze italiane una prolungata fase di tensione sui mercati. 



Il 29 maggio si è concluso il collocamento da parte del Tesoro di 5,5 miliardi di euro di Bot semestrali con una decisa impennata dei rendimenti, attestatisi all’1,21% rispetto all’area negativa di -0,42% registrato nell’asta di fine aprile. La domanda, poi, è stata pari a 1,19 volte l’importo offerto, a fronte dell’1,65 del mese scorso. Il rendimento del Btp a 2 anni è passato nella medesima giornata dallo 0,7% al 2,5%, mostrando l’alta tensione sulle scadenze di breve termine, fino a poco tempo fa vicine allo zero. Tale dinamica si è riflessa ovviamente anche sull’asta di collocamento dei Btp a 5 e a 10 anni del 30 maggio: il rendimento del decennale è salito al 3% rispetto all’1,7% di aprile, con un piazzamento (1,82 miliardi di euro) inferiore all’offerta massima (2,25 mld), a un prezzo ben inferiore (91,85) al valore nominale (100) che dovrà essere rimborsato: basti pensare che il prezzo di fine aprile (102,78) si traduceva ancora in un netto risparmio per le casse dello Stato; il quinquennale ha raggiunto l’importo massimo offerto, anche qui a basso prezzo di aggiudicazione (93,94), con un rendimento del 2,32% a fronte dello 0,56% dello scorso mese: lo Stato dovrà quindi sostenere maggiori oneri per interessi rispetto a quelli previsti per il 2018.

Nei prossimi 12 mesi scadranno titoli per un controvalore di oltre 290 miliardi, di cui circa 180 entro fine anno, che servono naturalmente per finanziare i fabbisogni dello Stato e dei cittadini; i movimenti di questi giorni potranno riflettersi anche sui prestiti a imprese e famiglie a tasso variabile: non c’è bisogno di interpellare economisti per comprendere almeno le dimensioni del problema.

La seconda considerazione riguarda il destino dell’Europa, certamente arrivata a un bivio, come dimostra l’enorme popolarità di partiti troppo frettolosamente bollati come “anti-europeisti”. Mi sembra che si presentino sostanzialmente due strade: una consiste in un arretramento verso il recupero di sovranità nazionale, comune a Lega e Movimento 5 Stelle benché in forme diverse, per contrastare una fredda unione delle regole di bilancio, che presenta, tuttavia, grosse incognite e criticità, prima fra tutte la moneta unica, dalla quale, in fondo, nessuno sa bene come uscire. L’altra, di cui personalmente sono sempre più convinto, è quella di creare finalmente un’unione politica, un modello federale, più Europa, insomma; qui l’unica criticità è, a mio avviso, la carenza assoluta di volontà politica, quasi una scontata e miope sufficienza nell’accontentarsi del proprio orticello elettorale, o della propria situazione economica, più o meno stabile, senza il coraggio di guardare oltre. Così, però, non si potrà mai evitare la triste vicenda di questi giorni: che sia il mercato, imbeccato da Paesi economicamente più robusti, a suggerire il nome del premier, o almeno del ministro dell’Economia, l’unico che conta veramente.

Sarò forse noioso a furia di ripeterlo, ma non posso non tornare alla raccomandazione del Papa a Cesena dello scorso ottobre, che oggi suona quasi profetica: “La politica è sembrata in questi anni a volte ritrarsi di fronte all’aggressività e alla pervasività di altre forme di potere, come quella finanziaria e quella mediatica. Occorre rilanciare i diritti della buona politica, la sua indipendenza, la sua idoneità specifica a servire il bene pubblico, ad agire in modo da diminuire le disuguaglianze, a promuovere con misure concrete il bene delle famiglie, a fornire una solida cornice di diritti-doveri e a renderli effettivi per tutti“.