“Mi sembra che ci sia un accordo sul fatto di far partire la flat tax sui redditi di impresa a partire dall’anno prossimo. Il primo anno per le imprese e poi a partire dal secondo anno si prevede di applicarla alle famiglie”. Parola di Alberto Bagnai, parlamentare della Lega e possibile sottosegretario all’Economia, intervenuto ad Agorà su RaiTre. Poche ore dopo, però, “contrordine compagni!”. Ad Affaritaliani.it il senatore leghista Armando Siri “smentisce” il collega di partito: “Non è vero che dal prossimo anno la flat tax entrerà in vigore solo per le imprese, ma ci sarà anche per le famiglie. Poi tutto sarà a regime per il 2020”. A chi dar credito? A provare una posizione di compromesso, nel tardo pomeriggio di ieri, arriva Claudio Borghi, esperto economico del partito di Salvini, che ai microfoni di SkyTg24 media: “Per la flat tax è più facile partire dalle imprese”. Insomma, c’è confusione nella Lega su uno dei punti cardine del programma legastellato. Come mai? Lo abbiamo chiesto a Nicola Rossi, economista, presidente dell’Istituto Bruno Leoni e autore del libro Flat tax. Aliquota unica e minimo vitale per un fisco semplice ed equo.



All’interno della Lega emergono divisioni sull’avvio della flat tax. Secondo lei, ci sono forse problemi legati alle coperture?

Direi che è un problema di opinioni diverse sulle priorità, che implicano anche dei problemi di copertura. E poi, questa idea di spostare la flat tax per le famiglie al 2020 significa che si pagherà nel 2021 con la dichiarazione dei redditi del 2020 o si applicherà nel 2019 ma la si pagherà nel modello 2020?



Lei è d’accordo con l’idea del neoministro dell’Economia, Giovanni Tria, che la flat tax si può finanziare con l’aumento dell’Iva?

È una soluzione molto ragionevole. La non sterilizzazione delle clausole di salvaguardia è già una buona base, ma evidentemente, visti i costi che comporterà l’adozione della flat tax, sarà necessario andare oltre, trovando ulteriori risorse e coperture.

Partiamo dalla flat tax per le imprese. In Italia sono già in vigore l’Ires per le società di capitali e l’Iri per le piccole imprese al 24%. Che effetti avrà la nuova flat tax?



Per il momento, il mio consiglio è che sia meglio fermarsi con gli annunci e che da settembre i proponenti si mettano a studiare seriamente la questione. Alla base della flat tax c’è il principio che imprese e famiglie debbano pagare la stessa aliquota. Già oggi abbiamo l’Iri per le piccole imprese al 24%, che fine farà? Sarà equiparata all’aliquota del 20% o del 15%? E perché i redditi da rendite finanziarie dovrebbero continuare a pagare il 26% o i redditi immobiliari il 21%, e non appunto, il 15 o il 20%? È chiaro che l’intendimento della flat tax pensata dal nuovo governo Lega-M5s va in questa direzione, ma non si può andare avanti con opinioni in libertà. Ciò che è enunciato nel contratto di governo resta un’idea che ora deve trovare una sua applicazione concreta precisa.

La flat tax per le famiglie, anziché una sola, prevede due aliquote: al 15% per redditi familiari fino a 80mila euro; al 20% per i redditi oltre a questa soglia. La progressività è garantita dalle deduzioni. La formula prevista dal governo Lega-M5s è efficace o si tratta alla fine di un compromesso un po’ al ribasso?

È evidentemente un compromesso, ma non starei lì ad impiccarmi sulla questione delle due aliquote. Piuttosto il problema è la relazione tra aliquote e deduzioni. Così come sono strutturate sembrano non essere vantaggiose per le famiglie con figli, e in un paese colpito dalla crisi demografica come il nostro non è un problema di poco conto. In più sembrano sfavorire la partecipazione al mercato del lavoro di un secondo percettore di reddito, il che non aiuta un Paese già segnato da una partecipazione femminile al mercato del lavoro molto bassa. Restano, comunque, questioni risolvibili, ma per risolverle al meglio bisogna studiare.

Nel contratto di governo Lega-M5s si dice che la flat tax “può essere concepita senza che sia troppo penalizzante per i ceti più bassi né troppo vantaggiosa per quelli alti”. In realtà, secondo le prime elaborazioni, la proposta giallo-verde sembra sortire gli effetti opposti. Come si ottiene il dosaggio più equo?

La riforma fiscale così come delineata nel contratto di governo tra Lega e 5 Stelle non presenta alcuna estensione, alcuna coerenza con le fasce di reddito più basse, cioè con gli incapienti. Questo è un problema annoso del nostro sistema tributario ed è assurdo che una tale riforma fiscale non lo affronti. Bisogna garantire coerenza tra la riforma fiscale e il trattamento dei meno abbienti. Altrimenti si rischia di ripetere l’errore degli 80 euro.

Che cosa intende dire?

Il bonus degli 80 euro è stato un incentivo affrettato, che si è sovrapposto ad altre misure senza rivedere l’impianto complessivo. E alla fine ha determinato la spiacevole conseguenza che molti contribuenti hanno dovuto restituirlo. Ora, è normale che la flat tax, semplificando le aliquote, produca dei vantaggi per i redditi più alti, che ci guadagnano in termini assoluti. Ma tutto va corretto e temperato, da un lato, facendo attenzione al regime delle deduzioni e, dall’altro, chiedendo un contributo ai contribuenti oltre una certa soglia di reddito per finanziare i servizi pubblici.

In una fase di rallentamento dell’economia la flat tax non rischia di creare problemi alla sostenibilità dei conti pubblici?

Il problema sta, appunto, nelle coperture, che devono essere concrete e credibili.

E non certo una tantum, come la cosiddetta “pace fiscale”…

Ma anche questa misura può non essere una tantum, costruendola in modo tale da non risultare come un’entrata annuale. Si può, per esempio, prevederne uno scaglionamento in tre anni.

In che modo?

Si può, per fare un esempio, stabilire che le cartelle fino a 2.000-3.000 euro si saldano al 10% del loro valore entro il 30 novembre di quest’anno; le cartelle fino a 20.000 euro al 20% entro il 30 novembre 2019 e quelle fino a 200.000 euro al 30% entro la fine di novembre dell’anno successivo. Si tratterebbe di una “pace fiscale” che prevede una scalettatura delle entrate graduale e credibile.

Le opposizioni temono che la flat tax verrà comunque finanziata anche con il taglio di servizi essenziali come la scuola e la sanità. Sarà così?

È sempre un problema di coperture. Se è vero che il costo della flat tax è stato stimato in 50 miliardi, questa cifra può essere raggiunta con un ventaglio di interventi: l’abolizione di alcune tax expenditures per un valore di 15-20 miliardi, più un piano di “pace fiscale” su base triennale, come delineato prima, più l’attuazione delle misure di spending review a cui anche il contratto di programma giallo-verde fa riferimento, più i 12 miliardi che si potrebbero recuperare con le clausole di salvaguardia degli aumenti Iva. Così facendo, la flat tax viene ripagata senza toccare le spese per scuola e sanità.

Lei è un fautore della flat tax come ricetta efficace per far ripartire l’economia. Lo è anche nella versione del programma giallo-verde?

Ogni semplificazione fiscale va salutata con grande favore. L’importante è renderla funzionale allo scopo, evitando però di fare una riforma tributaria pasticciata che possa generare fenomeni indesiderati, come con gli esodati creati dalla legge Fornero. Sono situazioni particolari che poi diventano dei boomerang pronti a ritorcersi contro coloro che hanno realizzato la riforma.

(Marco Biscella)

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