Dopo la fiducia al Senato, il governo Conte incassa anche quella della Camera, raccogliendo 350 sì e 236 no. Nel suo intervento per la replica in Aula, il neo presidente del Consiglio, ha sottolineato che “siamo nella Nato e vogliamo, come dice il poeta, rimanerci optime”; sulle infrastrutture ha precisato che “occorre valutare costi e benefici”, ma gli investimenti in questo comparto “sono un passaggio fondamentale in una politica di crescita, quindi sicuramente non ci sottrarremo a investimenti in infrastrutture”, mentre con l’Europa l’Italia mostrerà “fermezza sulla riduzione del debito”. Ma come il giorno prima a Montecitorio, anche a Palazzo Madama, al di là delle puntualizzazioni, Conte non ha dato indicazioni precise sulle risorse. “Aver riproposto alla Camera lo stesso discorso fatto al Senato – commenta Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze – sta a significare che Conte non ha capito appieno la delicatezza del momento”.



Che cosa intende dire, professore?

Il suo discorso, ricco appunto di promesse ma povero di dati, ha creato un certo sconcerto nei mercati finanziari, come si è visto dall’andamento dello spread, che anche ieri è salito. Conte ha dato l’impressione che questo governo voglia approfittare delle politiche monetarie permissive della Bce per realizzare una serie di programmi e di misure molto grillini, cioè prive di fondamento economico. Anche l’elogio del populismo, più che rimandare a Pushkin, autore che non ha alcuna attinenza economica, rimanda al populismo di stampo sudamericano, cioè all’idea di voler fare deficit senza pagare il proprio debito. Sarebbe stato meglio usare il termine “popolare”.



Perché?

Perché il populismo applicato alla finanza pubblica fa innervosire chi opera sui mercati finanziari, che infatti si domanda: in Italia vorranno fare come il Brasile di Lula o come il Venezuela di oggi?

Il nodo delle coperture resta un problema serio, non crede?

Ci sono coperture che sono a futura memoria. Sembra quasi che il breve periodo non conti, ma solo il lungo periodo. Invece abbiamo da affrontare subito la questione degli aumenti dell’Iva e della messa in sicurezza dei conti. Solo se sapremo dimostrare prudenza e serietà la Bce potrà continuare con il Quantitative easing, altrimenti presteremo il fianco alle critiche dei tedeschi, i quali da tempo sostengono come il Qe sia un’arma oggi in mano ai populisti per realizzare i loro programmi.



Se non mettiamo in sicurezza i conti, cosa rischiamo?

Corriamo il rischio che le agenzie di rating abbassino i loro giudizi e questo non solo costringerà Draghi a non poter più acquistare i nostri titoli di Stato, ma farà scattare la speculazione. Nel suo discorso Conte ha detto cose populiste maneggiando questioni delicate. Per i mercati non viene ancora guardato come un eversivo, ma certamente non ispira la necessaria fiducia.

Sui conti pubblici Conte ha detto che il debito è sostenibile, ma va perseguita la sua riduzione in una prospettiva di crescita economica. Cioè niente austerità e si va in deficit. Quanto al debito, “tratteremo con l’Europa in modo fermo e risoluto”. Che ne pensa?

Conte è un professore di diritto privato molto valido che ha studiato alla scuola di Rodotà, ma questa frase non ha senso, non è neanche cerchiobottismo, non fa capire che cosa intenda fare. Andare in deficit per fare crescita è una canzone che l’Italia ha cantato per tanti anni, creando i presupposti per le crisi bancarie, per un costo del denaro più alto e per un aumento del Pil difficile a causa di un debito che rischia di non essere più solvibile e il cui costo per interessi resta molto alto. Per noi sarebbe l’inizio della fine, perché ci priverebbe di qualsiasi potere negoziale, costringendoci ad accettare le regole del Fmi, che sì presta i soldi ai Paesi in grave difficoltà, ma poi si fa ripagare come un debitore che ti ipoteca la casa.

Qual è invece la strada che suggerisce di seguire?

Noi dovremmo mettere a posto i fondamentali, predisporre un bilancio serio con la prospettiva di far scendere il debito pubblico, e poi andare a negoziare, a chiedere fondi. Possiamo avere potere negoziale solo se il mercato crede alla bontà del nostro bilancio.

Gli osservatori hanno fatto notare che nel discorso c’è poca Europa e nessun accenno all’euro, ma poi nell’Aula della Camera Conte ha detto: “Al G-7 ci faremo conoscere e rispettare”, senza però specificare sul “cosa” e sul “come”…

Questa è retorica superficiale, di chi sa che non è lui a decidere, perché a farlo saranno poi i due vice, Di Maio e Salvini. Anche in questo passaggio Conte dà l’impressione di non aver colto la delicatezza della situazione.

A proposito di superficialità, su temi chiave come imprese, reddito di cittadinanza, flat tax, Sud i riferimenti sono stati piuttosto vaghi. Perché?

Conte, per la sua formazione di professore, è forse convinto di avere il pensiero giusto in tasca su tutto e non riesce a cogliere la complessità dei problemi. E’ un po’ – diciamo così – astorico. E poi dà l’impressione di voler fare tutto da sé, mentre per svolgere il compito di presidente del Consiglio è importante avere uno staff di 5-6 consiglieri, poter contare su un lavoro d’équipe, che è utile perché si possono sfruttare competenze diverse e si possono prevenire eventuali obiezioni.

Tornando al fronte internazionale, Conte ha ribadito che resteremo nella Nato, saremo alleati degli Stati Uniti ma più vicini alla Russia. Ma la Nato ieri ha richiamato l’Italia a non togliere le sanzioni alla Russia. Non le sembra una posizione da equilibrista?

Più che da equilibrista, è una posizione da dilettante. Va bene ribadire che l’Italia sarà nella Nato, ma questo vuol dire riconoscere che c’è un capo, gli Stati Uniti, e che l’Europa non ha la stessa forza all’interno dell’Alleanza, visto che la Germania ha deciso di avere un ruolo di serie C e la Francia di serie B. In un momento, poi, in cui sullo scacchiere mondiale Trump, che sa di dover fare un passo alla volta, vorrebbe trovare un accodo con Putin, ma ora deve fare i conti con la Cina e soprattutto con la Corea del Nord, noi non possiamo avere la velleità di giocare un ruolo di co-protagonisti nella Nato, pur avendo truppe eccellenti e basi strategiche nel teatro del Mediterraneo. La Nato non è un Parlamento. La pretesa di poter decidere sulle strategie è un atteggiamento provinciale, di chi non conosce la politica estera, dove contano l’esperienza e la conoscenza diretta dei leader mondiali con cui si va a discutere. Due carateteristiche che adesso mancano al nostro attuale presidente del Consiglio.

Sulle infrastrutture Conte ha specificato che non ci saranno tentennamenti, ma i Cinque stelle sono contrari ad alcune grandi opere, per esempio la Tav. Il governo rischia di inciampare proprio sulle infrastrutture?

E’ sicuro, questo è un tema fondamentale, al centro del dibattito non solo italiano, ma europeo. Sulla rivista “Formiche” è uscito un saggio del neoministro Giovanni Tria in cui si affronta il tema ad ampio raggio. Le infrastrutture sono utili per la crescita e sono un ambito in cui è possibile chiedere all’Europa quell’elasticità di bilancio sulla spesa pubblica. Ma su questo si creerà un enorme contrasto con la filosofia dei Cinque stelle, perché realizzare grandi opere significa fare l’alta velocità, nuove ferrovie. Le infrastrutture sono un punto da mettere al primo posto, ben prima del reddito di cittadinanza o della stessa flat tax.

(Marco Biscella)