Esattamente un anno fa, in un’intervista al Sole 24 Ore, Silvio Berlusconi – oggi schierato all’opposizione del governo gialloverde di Conte, Di Maio e Salvini – affermava che la flat-tax “sarebbe l’unico metodo per condurre l’Italia verso uno stabile avanzo primario del 4%”, a patto che fosse accompagnata da una nuova “politica fiscale: meno tasse sulle famiglie, sulle imprese, sul lavoro che producono più consumi, più produzione, più posti di lavoro. Con l’introduzione della flat tax, otterremo anche un maggior gettito per lo Stato con la quasi totale eliminazione della elusione e della evasione. È la ricetta vincente di Reagan che ha avuto successo dovunque sia stata realizzata”.
Che un anno dopo l’autore di quest’analisi non sostenga, con i suoi voti in Parlamento, chi la sta portando avanti e l’ha inserita nel programma di governo, è uno di quei misteri della politica che solo il cinismo dei veri esperti spiega: Berlusconi se ne strafrega – almeno in questo caso – di capire cosa serva o non serva all’Italia, e vota contro Salvini per una semplice ragione di interesse politico tattico. Anche perché se la flat-tax giova ai ricchi – come dicono gli economisti dell’opposizione – perché mai il partito dei ricchi (o aspiranti tali) cioè Forza Italia, dovrebbe osteggiarla?
Prima di rispondere, cerchiamo innanzitutto di ricordarci cos’è la flat-tax. Già: è quel tipo di tassazione che prevede una sola aliquota di prelievo sui redditi, o al massimo due, molto basse, e l’accompagna a una estrema semplificazione procedurale e a un incrudelimento delle punizioni contro gli evasori. In sostanza è come se un governo dicesse ai suoi cittadini: “Io vi chiedo poche tasse, e non m’interessa più che ne paghiate davvero in proporzione al vostro reddito. Guadagnate pure quanto vi pare, ma pagatemi quel poco che vi chiedo. Se però, nonostante una simile grandiosa agevolazione, vi salta in mente di evadere, vi faccio passare dei guai neri”.
Funziona? Spesso nel mondo ha funzionato e funziona. Però sia chiaro: resta una scelta pratica, e non “di principio”, una scelta che anzi mortifica un principio sacrosanto, tra l’altro costituzionale, quello della progressività fiscale, ossia una contribuzione dei cittadini alla spesa pubblica attraverso una ripartizione dell’onere di tipo progressivo: più guadagni, più sale la percentuale dei tuoi guadagni che devi pagare allo Stato con le tasse. Quindi niente di strano e niente di rilevante che l’opposizione protesti affermando che Salvini vuole tagliare le tasse ai ricchi: certo che sì! Ma non “solo” ai ricchi. A loro di più, ma anche ai meno ricchi. L’opposizione protesti pure: lascia il tempo che trova.
Il guaio è che la promessa di Salvini non si può mantenere perché lo Stato non ha i soldi per finanziare il calo delle entrate fiscali che si verificherebbe nel primo anno di applicazione della promessa flat-tax. Il primo anno, infatti, la gente verserebbe meno e basta. Dal secondo, si vedrebbero i risultati del nuovo corso: tantissimi evasori incalliti, potendo scegliere tra pagare poco ma star tranquilli o continuare a evadere rischiando la galera, sceglierebbero la prima alternativa, com’è accaduto nei paesi balcanici e dell’Est Europa dove la flat-tax è stata applicata con successo e che sono Paesi, come noi, a bassissima civiltà fiscale, nei quali chiunque può evadere il fisco.
In parole povere: dove il fisco equo non c’era mai stato, e nemmeno l’idea che sia possibile un fisco equo, sostituito com’era da un fisco poliziesco – la Russia – la flat tax funziona perché “taglia corto” con la burocrazia e viene al sodo: pagate meno, ma pagate tutti. È già un bel progresso. Dove il fisco, come in Italia, è sì decotto, vessatorio e inefficiente, ma c’è da secoli e applica una sua mentalità istituzionale consolidata, beh, introdurre la flat-tax significa prendersi un rischio di gettito di quelli che Bruxelles non ci legittimerà mai.
Dunque un governo nazionale, ammesso e non concesso che trovasse la determinazione e la competenze necessarie per varare la flat-tax, non supererebbe mai il vaglio della Commissione europea, burocratica fino all’oscurantismo, e quindi disposta forse a far finta di credere agli enunciati menzogneri dei governi, ma non a permettergli di rischiare il tutto per tutto sul tavolo verde di una riform-azzardo come la flat-tax. Quindi, ammesso e non concesso che una Legge di bilancio italiana che davvero introducesse la flat-tax riuscisse a non incorrere negli strali della legge costituzionale nazionale che inchioda i saldi di bilancio all’obbligo del pareggio, e quindi al gettito prevedibile per vecchia consuetudine (articolo 81 della Costituzione), sarebbe poi Bruxelles a dirci: “Altolà, cosa credete di fare?”.