Lo spread che all’inizio della settimana sembrava aver imboccato la via della guarigione, negli ultimi giorni, e ancora ieri, è tornato a salire. Il decennale italiano rende oggi poco più del 3% rispetto al 2% scarso dei giorni precedenti la nomina del governo giallo-verde; la borsa nel frattempo continua a scendere. Autorevoli organi di informazione internazionali, per esempio il Financial Times, hanno sollevato sospetti sull’azione della Bce; ma escludendo questi antipaticissimi sospetti è valida un’analisi pubblicata da Zingales il 31 maggio. Immaginiamo che il commento di un membro tedesco della Bce, per sbaglio, desse l’avvio a una fase di turbolenza nel mercato dei bond sovrani italiani, e che questa turbolenza obbligasse l’Italia a sottostare al Fmi/Esm; in questo caso sarebbero legittime le ipotesi di un complotto tedesco. Questa “ipotesi”, commenta sempre Zingales, non è poi così ipotetica visti i commenti del commissario al budget dell’unione europea Oettinger sulla lezione, alle intenzioni di voto, che i mercati impartiranno agli italiani.



Chi sfida l’Europa si assumere il rischio che le istituzioni europee reagiscano: togliendo qualsiasi supporto e dando origine a un circolo vizioso in cui i mercati si buttano a capofitto; è sempre utile ricordare la vicenda del 2011 perché la crisi del debito sovrano italiana è rientrata, per magia, per il solo intervento della Bce e nonostante quella crisi avesse grandemente peggiorato tutti i dati economici dell’Italia. Oggi non si capisce dove il circolo vizioso sul debito italiano, frutto della speculazioni e del confronto con l’Europa, possa finire. Come possa finire è chiaro, basterebbe la Bce, ma la Bce non è controllata dagli italiani, ma dagli stessi che ci hanno fatto fare un giro, con i risultati che sappiamo, sull’ottovolante dell’austerity. Non si può escludere nessuno scenario, neanche, purtroppo, quelli peggiori.



Ma facciamo pure finta che questo problema non ci sia. Rimane il fatto che l’Italia è un Paese con tanto debito e che cresce poco. Le soluzioni che si sono sentite in queste settimane non possono rassicurare i mercati che sanno che l’Italia non ha il pieno supporto delle istituzioni europee e della Bce. Quello che fa paura è una certa idea di sviluppo italiano che sembra emergere almeno in una parte del governo. Chiudere una delle acciaierie più grandi d’Europa immaginando alternative che sinceramente appartengono al libro dei sogni è pauroso; allo stesso modo in un mondo che cerca disperatamente di investire in infrastrutture emerge in Italia la possibilità di un rifiuto, quasi ideologico, delle infrastrutture “pesanti”. Quelle che si vogliono fare negli Stati Uniti, che si fanno in Cina, in Svizzera dove si bucano le Alpi con opere colossali o sotto Londra. Tutti i progetti che oggi in Italia si definirebbero “inutili” sprechi. I ritorni di questi investimenti eccedono di molto i fogli excel e le generazioni.



Anche l’idea che si possa vivere solo di turismo è devastante; la Grecia ha puntato tutto sul turismo ed è un monito di quello che non si dovrebbe fare per mantenere uno standard di vita da primo mondo e soprattutto per ripagare il debito accumulato. Il benessere si mantiene, anche col turismo, ma soprattutto investendo in innovazione, fabbriche e impianti. I “nuovi” lavori possono andare bene per una parte, alta, della popolazione, ma non rispondono alla domanda di lavoro di milioni di disoccupati in certi casi con competenze incerte.

Fare la battaglia con l’Unione europea per ottenere più margini per investire sullo sviluppo, strade, treni, porti, fabbriche, può avere un senso. Farla per chiudere gli impianti, dando l’impressione, giusta o sbagliata, di voler chiudere il buco con un po’ di assistenzialismo di cortissimo respiro non può entusiasmare nessuno. L’Italia ha perso una battaglia importante nel 2011/2012 e oggi dopo due crisi è in una condizione economico finanziaria precaria che consiglia moltissima prudenza e moltissima lungimiranza nel taglio agli sprechi e nella destinazione delle risorse per lo sviluppo industriale.

Fuori dall’euro potremmo avere più possibilità e liberarci da una sovrastruttura oggi governata per gli interessi di pochi e sicuramente non per i nostri, ma i problemi rimangono tutti sul tavolo: riforma della burocrazia, inclusa quella giudiziaria, taglio agli sprechi, più investimenti per lo sviluppo industriale. Se l’uscita dall’euro diventa una scusa per farci diventare la colonia estiva dei turisti tedeschi a prezzo basso e dopo il default, allora meglio l’euro oggi e domani. Il primo atto del governo dovrebbe essere una ferrovia finanziata con qualsiasi taglio degli sprechi che si può immaginare. L’immagine è tutto e oggi quella che si deve dare è quella di un Paese serio e determinato a crescere in modo equilibrato; non quella di un Paese sudamericano. Questo ci serve dentro l’euro, e ancora di più, eventualmente, fuori dall’euro.