“I fondamentali economici nella zona euro restano solidi nonostante qualche moderazione nella crescita dall’inizio dell’anno” e “la nostra fiducia sulla dinamica dell’inflazione sta aumentando”. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, in un’audizione all’Europarlamento, assicurando anche che i tassi resteranno fermi almeno fino all’estate 2019. Poi a una domanda sulle linee di politica di bilancio del nuovo governo in Italia ha risposto: “Dobbiamo vedere i fatti prima di esprimere un giudizio, i test saranno fatti, finora ci sono state le parole e le parole sono cambiate”. Ma per Antonio Maria Rinaldi, professore di finanza aziendale all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara, il passaggio più significativo è un altro: “Gli sforzi che abbiamo compiuto negli ultimi anni per rafforzare la governance dell’Unione economica e monetaria hanno già reso l’Unione più resiliente agli shock. Tuttavia, la nostra unione monetaria è ancora incompleta e rimane vulnerabile”. Chiosa Rinaldi: “Sono rimasto sorpreso da queste parole di Draghi”.



Perché, professore?

Perché è la prima volta che Draghi sottolinea come la costruzione monetaria dell’euro sia imperfetta e che quindi si renda necessario un surplus di unione per rafforzarne l’impianto. Ormai è evidente a tutti come stiano emergendo, in modo prepotente, tutte le contraddizioni. La moneta unica non doveva essere il punto d’avvio, ma l’esito finale di un processo politico. Ma la domanda da porci, secondo me, è un’altra.



Quale?

È giusto che sia proprio il presidente della Banca centrale europea a dover sopperire alle lacune della politica? E’ giusto che, muovendosi con intelligenza nelle pieghe del regolamento della Bce, l’onere di intervenire come soccorritore tocchi proprio a Draghi? In questo caso Draghi fa il supplente, ma non è il suo ruolo. E che succederà quando non sarà più a Francoforte? Come si comporterà il suo successore? Tutt’al più potrà continuare a mettere cerotti. Tocca alla politica farsi carico di questa incompletezza e di questa vulnerabilità.

Quali sono le priorità per cambiare passo alla zona euro?



Finché la politica monetaria sarà dettata dall’esigenza di supportare solo politiche di stabilità dei prezzi e di rigore dei conti pubblici, la Banca centrale europea sarà sempre in difficoltà.

Come se ne esce?

È arrivato il momento per cui anche alla Bce vengano garantite le stesse prerogative di tutte le altre Banche centrali più importanti, a partire dal compito di essere prestatore di ultima istanza, potendo intervenire non solo sul mercato secondario, ma anche sul primario. Gli stimoli monetari devono andare in direzione della crescita. Basta con i target solo inflattivi, bisogna fare in modo che le risorse arrivino effettivamente all’economia reale. In questo senso sono necessarie nuove regole per le banche, affinché si dia maggiore fiducia ai cittadini, una fiducia che, per esempio, è stata minata dall’introduzione del bail-in.

Draghi ha anche ricordato che “in questi tempi di aumentate incertezze globali, è più importante che mai che l’Europa resti unita. Abbiamo bisogno di ulteriore convergenza e integrazione tra gli Stati”. Poi ha ricordato che “la condivisione dei rischi aiuta in grande misura la riduzione dei rischi”. Posizioni che non piaceranno alla Germania. Ma i temi della governance europea e dell’unione bancaria torneranno tra le priorità dell’agenda Ue?

Non credo. Non vedo la volontà di alcuni altri partner europei di proseguire su questa strada. Ma oggi la Ue è a un bivio: occorre varare una rapidissima revisione politica e fiscale dell’Europa. Eppure nessuno sembra volerlo realmente. Paradossalmente Germania e Francia non vogliono un’Unione politica perché preferiscono mantenere lo status quo. Su tanti temi, dalla sicurezza ai migranti, tedeschi e francesi si comportano da veri nazionalisti, altro che il nostro governo! Ma così facendo non riusciranno mai a trovare una quadra. Invece bisogna tornare a discutere su cosa vogliamo fare davvero dell’Europa e quali obiettivi vogliamo perseguire.

Che ruolo può giocare l’Italia dopo le parole di Draghi?

Conte ha fatto bene, nell’ultimo vertice, a ribadire che d’ora in avanti l’Italia non accetterà più supinamente tutto. Ma in giro non vedo segnali di forte cambiamento. Se non si modifica nulla, però, e in fretta, visto che siamo già a luglio, nel maggio 2019 potrebbe arrivare su questa Europa una sonora bocciatura dagli elettori europei.

Non è forse venuto il momento che l’insistenza posta sul lato dell’offerta (le riforme) lasci finalmente il campo all’enfasi sulla domanda (gli investimenti)?

Certo. Esiste già la “golden rule”, cioè la possibilità di fare investimenti produttivi in deroga al calcolo del deficit. Mi auguro che questo venga deciso, è il minimo sindacale. Non commettiamo l’errore fatto quattro anni fa da Juncker al momento del suo insediamento a presidente della Commissione Ue, quando promise più di 300 miliardi per gli investimenti: non è arrivato neanche un centesimo di tutti quei miliardi, perché tutto è rimasto nel mondo dei sogni. Oggi cittadini e imprese hanno bisogno di toccare con mano il cambiamento.

Draghi ha confermato la fine del Qe entro il 2018, ma ha assicurato che i tassi resteranno fermi fino all’estate 2019. Questo potrebbe aiutare l’Italia a realizzare le sue riforme per favorire la crescita?

Sicuramente. Pensi solo a quel che ha fatto il predecessore di Draghi: Trichet, nel pieno della crisi dei debiti sovrani nel 2011, aveva avuto addirittura l’ardire di aumentare per ben due volte il tasso di sconto. È stato molto di più e di peggio che buttare benzina sul fuoco. La stabilità dei tassi annunciata da Draghi potrà davvero aiutare l’Italia a varare le sue riforme.

Il costo per l’Italia di Target 2, il debito tra le varie Banche centrali nazionali, è salito a quota 481 miliardi. Una cifra che allontana in modo definitivo ogni velleità di una Italexit, cioè di un’uscita del nostro Paese dall’euro?

Non parlerei di debiti. Le faccio un esempio. Se lei come cittadino italiano acquista un’auto tedesca, il suo esborso viene poi girato a una banca tedesca. Una normale operazione commerciale. Target 2 è un flusso di soldi. Altrimenti, è come se dopo aver comprato la macchina, le toccasse poi pagarla un’altra volta.

(Marco Biscella)