Chi si ricorda del saggio Sterling Dollar Diplomacy: The Origins and the Prospects of Our International Economic Order e del suo autore Richard N. Gardner? Gardner, professore di diritto e relazioni economiche internazionale alla Columbia University di New York, è stato Ambasciatore degli Stati Uniti a Roma dal 1977 al 1981 (e un suo libro, Mission to Italy, è un’interessante ricostruzione e riflessione sui nostri “anni di piombo”). Lo studio sulle origini e prospettive dell’ordine economico internazionale risale alla fine degli anni Sessanta, quando fu un importante successo accademico ed editoriale. Nato nel Bronx nel 1927, ottenne la prestigiosa Rhodes Scholarship per fare a Oxford il suo dottorato di ricerca. Nell’università britannica, divenne amico di Roy Harrod ed ebbe accesso a note e documenti inediti di Keynes riguardo i negoziati che portarono alla nascita della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, nonché al progetto di Organizzazione Mondiale, retti da quello che avrebbe dovuto essere un accordo provvisorio, il Gatt, prima della nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio. Banca Mondiale, Fmi e Omc/Gatt: essenzialmente le istituzioni e le regole che hanno retto l’ordine economico internazionale per 70 anni.



Perché vale la pena rileggere oggi Sterling Dollar Diplomacy? L’ordine economico internazionale creato alla fine della Seconda guerra mondiale, frutto essenzialmente di un progetto anglo-americano, si sta sfaldando da due-tre lustri, con l’emergere di nuovi continenti e di nuovi Paesi sulla scena economica internazionale in veste di protagonisti e, negli ultimi anni, con l’aumento delle differenze e divergenze tra gli Stati Uniti e l’Unione europea, che gli Usa stessi hanno attivamente contribuito a creare non solo per generosità, ma anche e soprattutto per evitare di trovarsi di nuovo immischiati, come nel Novecento, in due guerre mondiali, nate nel Vecchio Continente.



Il vertice Nato della settima scorsa ha plasticamente mostrato come sia difficile il dialogo tra leader Usa ed europei, con il Presidente americano che, nella conferenza stampa finale, ha illustrato i risultati della riunione in modo non diverso ma opposto alla presentazione fattane dai Capi di Stato e di Governo europei. Oggi e domani, l’agenda internazionale ha in programma un altro vertice: quello, a Pechino, tra Unione europea e Cina. Che sia l’inizio di una “diplomazia dell’euro e del renminbi” (la moneta cinese) per riscrivere le regole dell’ordine economico internazionale?



Ho esaminato altrove le determinanti di breve periodo che rendono Ue e Cina “alleati naturali” nel reagire alla politica commerciale della Casa Bianca che impone nei confronti di ambedue pesanti dazi con l’accusa, smentita dai dati e dai fatti, che ambedue seguirebbero da tempo “prassi commerciali scorrette” nei confronti degli Stati Uniti. Che ci siano determinanti di più lungo periodo che possano rendere Ue e Cina partner di un tentativo congiunto di ricostruzione, o anche soltanto aggiornamento, delle regole e delle istituzioni economiche internazionali? Non ci sarebbe una tradizione culturale (nonché lingua comune) come quella fondante nei rapporti tra Stati Uniti e Gran Bretagna alla base della diplomazia del dollaro e della sterlina. Tuttavia, sia Cina che Paesi dell’Ue hanno forte consapevolezza della loro lunga e antica storia e cultura. Sia quello che era il Celeste Impero sia le Nazioni che compongono l’Ue sono fiere del loro passato e sono consapevoli di essere state per secoli e secoli il fulcro dell’economia, della tecnologia, del pensiero per almeno metà del globo. Ambedue hanno, a ragione o a torto, un senso di “supremazia” nei confronti di “emergenti” degli ultimi 150-200 anni come gli Stati Uniti e avvertono l’esigenza di cambiamento nei confronti delle istituzioni e delle regole dell’ordine economico internazionale.

Le differenze economiche, politiche e culturali tra Ue e Cina sono profondissime. Tuttavia – come ha brillantemente scritto Roy C. Smith della New York University nel saggio recente Europe under Siege – l’Ue si sente “sotto assedio” anche se è la seconda potenza economica mondiale in termini di Pil. È un assedio sia dall’interno (i movimenti sovranisti), sia dall’esterno (ad esempio i rapporti con la Russia, da cui l’Ue dipende per un terzo del suo approvvigionamento energetico). “I prossimi dieci anni ci diranno – scrive Roy C. Smith – se l’Ue resterà in vita come reale progetto economico e politico o se si frantumerà”. Di fronte a questa prospettiva una partnership a lungo termine con la Cina potrebbe essere una prospettiva.