Dopo le reazioni alle recenti dichiarazioni del Ministro Savona sul piano B e sull’eventualità di un evento estremo, definito come un “cigno nero” (metafora conosciuta in finanza per definire un evento eccezionale non previsto), è diventato chiaro che quello dell’uscita dall’euro è davvero un argomento tabù, quindi un argomento davvero prezioso. Infatti, non è bastata una lettera aperta di otto economisti, pubblicata sul Sole24Ore. In questa lettera questi economisti hanno evidenziato la necessità di ribadire la permanenza dell’Italia nell’euro: “I fondamentali dell’Italia sono solidi e il debito pubblico è ritenuto sostenibile dalla generalità degli analisti”. Però…: “Occorre però essere consapevoli del fatto che, a causa dei dubbi sull’appartenenza all’euro, oggi le condizioni finanziarie dell’Italia sono diventate più fragili. In queste condizioni, anche episodi apparentemente secondari possono portare a una catena di eventi di gravità sin qui sconosciuta nel nostro Paese, quali il rifiuto da parte dei risparmiatori di sottoscrivere i titoli di stato offerti in asta”.
Anzitutto scoviamo la menzogna: la gran parte dei titoli di stato non viene acquistata dai risparmiatori, ma da società finanziare speculative. Questo è un punto chiave del loro ragionamento, poiché alla fine affermano che mettere a rischio i titoli di stato vuol dire mettere a rischio i risparmi. Ma è un ragionamento fallace fin dalle fondamenta. Secondo questo ragionamento, bisogna “rimuovere quel germe di incertezza che è stato prodotto e convincere gli investitori internazionali e gli stessi risparmiatori italiani che la permanenza dell’Italia nell’euro non è in questione. Per troppo tempo voci poco responsabili hanno prospettato ipotesi alternative”.
Diciamo subito che la questione dell’incertezza è una cosa molto grave per chi investe capitali. Chi investe ha bisogno di pianificare e quindi ha bisogno valutare in un quadro di relative certezze. L’incertezza è il nemico peggiore per chi pianifica investimenti. Ma diciamo pure che ha bisogno di certezze, non di soluzioni preconfezionate o di certezze di un solo tipo. Per esempio, anche il fatto che il sistema euro è fallimentare ed è destinato a sparire può essere una certezza.
Comunque, come dicevo, non è bastato questo appello di otto economisti. Ci si è messo anche un articolo, sempre sul Sole24Ore, di Andrea Montanino, capo economista di Confindustria. Ho già citato diverse volte negli anni passati il Centro Studi di Confindustria. In un articolo di oltre due anni fa ho rilevato la serie ininterrotta di previsioni del pil completamente sballate. E in un altro articolo rilevavo un errore grossolano in un loro report del gennaio 2015, poiché attribuivano una spinta al Pil del 2,5% alla combinazione di euro in discesa e prezzo del petrolio in calo. Ma in realtà questi due effetti si annullano perché il petrolio si paga in dollari, quindi euro in discesa (nel cambio col dollaro) vuol dire dollaro più caro e prezzo del petrolio in euro stabile. Infatti, a dicembre 2015 (dopo che a settembre avevano corretto al ribasso le previsioni sul Pil) rimanevano perplessi sul rallentamento del Pil rispetto alle loro sballate previsioni: qui un articolo in cui raccontano la loro perplessità. La mia spiegazione è semplice: non leggono i miei articoli sul Sussidiario e quindi non hanno capito di aver sbagliato un banale conto.
Ebbene, tenendo ben presente da quale ambientino di esperti viene Montanino, cosa afferma in questo articolo sul Sole24Ore? Inizia col dire che conosce personalmente molto bene gli otto economisti autori della lettera aperta. Poi afferma che comunque quella lettera lui non l’avrebbe firmata, perché… dell’ipotesi di uscita dall’euro è bene proprio non parlare! Anzi, lui dice che nei suoi contatti con il mondo della finanza all’estero l’argomento proprio non esiste: “Non l’avrei firmata perché il tema dell’uscita dall’euro non deve essere all’ordine del giorno, né nella pratica, né nel dibattito. Aver sollevato la questione, con toni anche drammatici («L’Italia corre gravi rischi», inizia la lettera) non fa bene all’Italia perché alimenta l’idea, soprattutto all’estero, che ci si stia pensando. Personalmente, in nessuno dei miei colloqui con investitori stranieri negli ultimi due mesi, la questione dell’appartenenza dell’Italia all’euro è stata sollevata”.
Probabilmente Montanino non frequenta gli ambienti giusti, perché tale dibattito all’estero è ben acceso e vivace, soprattutto in Francia e in Germania. Proprio quest’anno ha fatto scalpore un appello di ben 154 economisti tedeschi, i quali chiedono l’istituzione di un percorso per l’uscita dall’euro, oggi non previsto dai trattati e più volte negato dallo stesso Mario Draghi. Lo stesso Clement Fuest, capo del prestigioso istituto di ricerca Ifo, molto considerato dal governo tedesco, ha affermato che dopo il recente voto svoltosi in Germania (dove i partiti contrari all’euro hanno ottenuto un notevole successo e il partito della Merkel si è indebolito) l’istituzione di una clausola per uscire dall’Euro è cosa opportuna. E visto che il dibattito in materia all’estero è tanto acceso, non farlo in Italia è un modo per farsi trovare impreparati. Ma mentre in Francia e Germania se ne parla, in Austria i partiti ostili a Europa ed euro sono addirittura al potere.
Tutti questi soggetti hanno in comune anche una medesima visione sulla grande questione che agita il dibattito politico italiano di questi giorni: la questione dei migranti. Sono note a tutti le esternazioni (non richieste) del presidente dell’Inps Boeri, il quale ha a più riprese affermato che i migranti ci servono perché altrimenti i conti dell’Inps non tornano. Questa in realtà è una duplice menzogna e sono i ragionamenti di Boeri quelli che non tornano: primo perché prima o poi pure questi migranti andranno in pensione e quindi bisogna che Boeri ci spieghi come pagheremo queste pensioni nel futuro: forse con altri migranti, in un processo che porterà conseguentemente destabilizzazione sociale e di fatto la sostituzione della popolazione? Secondo, perché oggi un immigrato che lavora (quelli che lavorano) ha normalmente un lavoro di basso livello e che quindi contribuisce in misura bassa come contributi Inps. Inoltre, spesso ha moglie e figli a carico, quindi gode di sgravi fiscali che di fatto annullano o sopravanzano i contributi Inps pagati. E bisognerebbe fare i conti con tutti gli aspetti, inclusi quelli dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione scolastica dei figli: tutti costi che paga lo Stato. Non li paga l’Inps, ma li paga lo Stato.
Inoltre, da una considerazione si capisce che le polemiche di Boeri sono strumentali e di tipo politico: sta intervenendo continuamente su questo tema proprio ora che, con questo governo, è tornato sulle prime pagine di tutti i giornali. Ma quelli sono appunti migranti (persone che stanno migrando ora), mentre quelli di cui parla Boeri sono immigrati, cioè persone che sono entrate in Italia anni o decenni fa e che si stanno pienamente integrando, già lavorano da anni e quindi fanno la loro parte nel tessuto economico e sociale italiano. Invece i migranti degli ultimi anni sono una folla di disperati che solo in minima parte ottengono lo status di rifugiati perché provenienti da regioni effettivamente in guerra. I migranti per motivazioni economiche in fondo si trasferiscono (o tentano di trasferirsi) per lavoro, una situazione che non è prevista da alcun ordinamento di alcun Paese: intendo dire che anche un italiano per trasferirsi in un altro Paese un lavoro lo deve già avere, altrimenti fa vacanza e poi torna a casa.
Nel tempo delle grandi menzogne alcuni conniventi con il potere si affannano a sostenere ragioni insostenibili: ma la verità è dura a morire e prima o poi viene a galla.