Ieri in un editoriale del Financial Times si è tornato a parlare del fallimento di “Carillion”, una società inglese attiva nell’”outsourcing” in molti casi di attività che fino agli anni ‘80 erano di competenza pubblica e statale; la manutenzione delle linee ferroviarie è solo un esempio delle attività nel portafoglio di Carillion. Il Financial Times in particolare si interroga sulla volontà del “Labour” di fare marcia indietro rispetto alla politica di “outsourcing” di attività un tempo di competenza statale con lo Stato che tornerebbe a gestirle direttamente. Il quotidiano inglese si schiera contro questa idea, dato che queste attività se “analizzate correttamente, selezionate e supervisionate funzionano meglio nel settore privato che sotto la proprietà e la gestione pubblica”.



È sulla premessa che si concentra il Financial Times, secondo cui il governo dovrebbe supervisionare più attentamente e dovrebbe essere più trasparente sulle giustificazioni e i dettagli dei contratti invece di nasconderli con la scusa delle “informazioni commercialmente sensibili”. In questo modo il pubblico avrebbe i mezzi per decidere se sono migliori le società private piuttosto che pubbliche e potrebbe valutare “la dipendenza dello Stato da imprese private (“large contractors”) rispetto alla qualità dei servizi offerti”.



È interessante notare la riapertura del dibattito sui meriti e sul ruolo del privato nell’offerta di alcuni servizi pubblici in un Paese “pioniere” come l’Inghilterra. È interessante accorgersi che anche tra i difensori del “privato”, come il Financial Times, si riconosca la bontà di questa discussione e si chieda un salto di qualità e in un certo senso un ruolo “maggiore” dello Stato. È un dibattito che sarebbe utile anche in Italia. Non possiamo non rilevare il fatto che dopo due crisi economiche devastanti i due principali operatori autostradali italiani privati abbiano avuto finanza per lanciarsi in acquisizioni estere per cassa che, almeno in un caso, quello di Atlantia-Abertis, sono tra le maggiori operazioni finanziarie in Europa del 2018. In entrambi i casi, Sias e Atlantia, i flussi di cassa utilizzati per acquisizioni da molti centinaia o miliardi di euro arrivano dagli automobilisti italiani.



Non solo i ricavi sono gli stessi del 2007 come se due crisi non fossero mai arrivate, ma si è creata extra cassa per acquisire all’estero. Sarebbe lecito chiedersi se attività così immuni al rischio siano compatibili con ritorni annui a due cifre e se il concedente, lo Stato, abbia fatto bene il suo lavoro evitando remunerazioni eccessive o ingiustificate o comportamenti opportunistici. Sottolineiamo che alcuni elementi chiave (gli allegati in cui si entra nel merito della remunerazione) degli accordi tra concessionari e Stato non sono pubblici e non sono mai stati resi pubblici. Non si comprende il principio del “segreto industriale” o, come direbbe il Financial Times, delle “informazioni commercialmente sensibili” nel caso di monopoli; uno schermo che impedisce, a chi voglia, di fare i conti su eventuali remunerazioni, pagate con i pedaggi, ingiustificate.

Prendiamo il caso delle autostrade per una questione dimensionale, miliardi di euro all’anno, che fa scomparire decenni di vitalizi. È uno degli esempi più rilevanti per dimensione, ma non è l’unico settore coinvolto: anche fosse per chiarezza sarebbe interessante avere tutti gli elementi per valutare l’operato di chi gestisce servizi pubblici e sarebbe doveroso impedire regali colossali ai privati pagati con i soldi di tutti.

Non nascondiamo che abbiamo grandi attese per un governo a maggioranza cinque stelle e per il neo-ministro delle Infrastrutture. Siamo consapevoli che scoperchiare vitalizi per qualche decina di milioni di euro sia meno “complicato” che affrontare settori in cui passano centinaia di milioni o miliardi, sia nel pubblico che nel privato, dove si affrontano controparti più “attrezzate” di qualche parlamentare della seconda repubblica dimenticato da tutti. È una sfida che però vale la pena affrontare sia a Londra che a Roma.