Non ha sorpreso che Lorenzo Bini Smaghi abbia rintuzzato su Repubblica una lettera di Paolo Savona, nella quale il neo-ministro per gli Affari europei ri-delineava la sua proposta di riforma della Bce. Bini Smaghi è stato uno dei tre italiani avvicendatisi dal 1998 nell’esecutivo della banca centrale dell’euro (il primo è stato Tommaso Padoa-Schioppa, l’ultimo il presidente in carica Mario Draghi). Ha stupito un po’ di più che “LBS” – supportato a suo tempo da Giulio Tremonti, avvicinatosi poi al concittadino Matteo Renzi e comunque ben posizionato come presidente del Consiglio di sorveglianza di Société Générale – abbia rinfacciato a Savona un presunto errore da economista: l’assimilazione tecnica delle Omt – le operazioni di acquisto di titoli pubblici dei paesi dell’eurozona da parte della Bce – al Qe, cioè alla politica monetaria espansiva originariamente seguita dalla Fed sul dollaro.
Ma ciò che ha fatto davvero rialzare qualche sopracciglio è stato che Bini Smaghi abbia di fatto ripreso l’argomentazione da una singolare azione di comunicazione da parte della stessa Bce.
Savona oggi risponde alle osservazioni di @FerdiGiugliano, ma OMT e QE non sono proprio la stessa cosa. Cambiare la Bce per salvare l’Europa | Rep https://t.co/hwYopNfhyx @repubblica
— andrea zizola (@andreazizola) 17 luglio 2018
Il tweet è sull’account di Andrea Zizola: funzionario italiano nell’ufficio stampa della Bce. Analogamente, Ferdinando Giugliano, oggi editorialista di Bloomberg dopo esserlo stato di Repubblica, vanta nel suo curriculum un passaggio all’ufficio studi Bankitalia sotto il governatorato di Mario Draghi. È dunque molto arduo non attribuire direttamente al capo dell’Eurotower un ennesimo gesto di stizza nei confronti di Savona: assai meno “macro” del clamoroso stop suggerito al Quirinale per la nomina di Savona a ministro dell’Economia, alla stretta per il governo Conte; ma non meno significativo di una tensione fortissima.
Che Savona e Draghi siano divisi su tutto è noto. Il primo – più anziano, pupillo di Guido Carli e poco euro-entusiasta – all’inizio degli anni 90 si vide la strada tagliata da Draghi, il prescelto fra i Ciampi-boys per pilotare prima il Tesoro nelle grandi privatizzazioni e poi Bankitalia nella nascita dell’euro, approdando infine alla Bce anche grazie al grande favore della finanza globale di mercato. Non è certamente facile oggi – per gli stessi interessati – tenere separati aspetti personali, convinzioni politico-economiche di fondo e delicate congiunture correnti.
È chiaro che quando Draghi accusa Savona di confondere Omt e Qe sta evocando in termini brutali la fine del sostegno della Bce ai titoli di Stato europei (cioè italiani): e questo coinciderà con la conclusione ormai prossima del suo mandato a Francoforte e con la ricerca incertissima del suo successore. D’altra parte Savona sta affrontando di petto la minaccia più o meno realistica di un’altra crisi dello spread: sostenendo che quanto l’Italia ha sofferto dal 2011 in poi – sotto la presidenza Draghi della Bce – è stato essenzialmente dovuto a una cattiva costruzione della banca centrale. Il problema della politica monetaria dell’euro quindi non sarebbe tecnico ma politico, anzi: risiederebbe nell’errore politico dei governi italiani di aver accettato una cattiva strutturazione tecnica dell’Unione monetaria – e poi di quella bancaria – subendone (almeno secondo Savona) ricadute evidenti e pesanti. Le posizioni del nuovo Governo italiano vengono naturalmente riverberate dalla grave crisi corrente di tutte le istituzioni Ue.
Il “caso Savona-Draghi” – perché tale è – non sembra comunque destinato a esaurirsi. Anche se il Paese non ne avrebbe bisogno.