In estrema sintesi, si può dire che al Consiglio europeo del 28-29 giugno i vincitori sono stati Angela Merkel e Matteo Salvini. Il vinto è stata l’Unione europea, ovvero il processo stesso di integrazione verso una ever closer Union, un’Unione sempre più stretta. Vediamo perché. Con la parte del documento finale sui migranti, in particolare quella sui “migranti secondari”, Angela Merkel evita uno scontro con il proprio ministro degli Interni, il muscolare Horst Seehofer, leader della bavarese Csu, e blocca una crisi di governo che avrebbe portato la Repubblica Federale Tedesca a nuove elezioni dall’esito quanto mai incerto. Matteo Salvini può vantare (a ragione o a torto) che quelli che vengono presentati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte come frutti del negoziato della delegazione italiana al vertice non si sarebbero ottenuti senza la sua posizione netta in corpore et cute su navi di Ong alla ricerca di attracchi in porti italiani.



La sconfitta totale è dell’Ue. Non è più da decenni quella del federalismo vagheggiato da Spinelli, Colorni e Rossi. È sparita anche L’Europe des Patries di De Gaulle. Non siamo neanche agli “accordi intergovernativi” come il Fiscal compact, ma a intese i cui singoli punti ci si impegna ad attuare su base volontaria, ossia “cambiali inesigibili”. E che, pirandellianamente, ciascuno interpreta a suo modo. Come si è visto nelle conferenze stampa che hanno fatto seguito al vertice. Lo stesso stringato documento economico non è che un cenno peraltro piuttosto vago per ribadire l’impegno a seguire il percorso (fissato in precedenza) per giungere a un sistema comune di garanzia dei depositi e completare l’unione bancaria; non se ne fissa, però, una data.



L’immigrazione, specialmente dall’Africa, è il vero banco di prova dell’Ue, come ribadito la settimana scorsa anche da uno dei più noti economisti russi, Andrey Korotayev. È proprio in questa materia che l’Ue sta mostrando la maggiore disunità. Acutamente, nell’ultimo fascicolo del prestigioso Journal of Common Market Studies (Falling Forward Towards Which Europe? Organized Hypocrisy in the Common Eurropean Asylum), Sandra Lavenex della Università di Ginevra sottolinea che analizzare i conflitti ideologici nella creazione di un’eventuale politica europea nei confronti dei richiedenti asilo politico mostra non tanto se c’è esigenza di “più” o di “meno” Europa, quanto il crescente scollamento tra una Ue che proclama di essere alla ricerca di una “Unione dei Valori”e gli effettivi vincoli politici e istituzionali: “il risultato è ipocrisia organizzata, ed il rafforzamento parallelo di politiche protezioniste (in materia migratoria)”.



In questo contesto, si pongono le oggettive fragilità italiane che non le permettono di fare da mediatore e che ispirano diffidenza a numerosi partner dell’Ue. In primo luogo, la situazione della finanza e del debito pubblico, ereditate dall’Esecutivo in carica da poche settimane, ma a cui né il “contratto di governo” delinea una soluzione, né i principali Ministri sembrano avere ricette condivise o almeno convergenti. In secondo luogo, le tensioni (in gran misura sottotraccia, ma molto evidenziate nei rapporti che i nostri partner Ue ricevono dalle loro Ambasciate a Roma): le Lega sta acquistando consensi alla grande, grazie all’attivismo del ministro dell’Interno in materia di migranti e la base del M5S si sta erodendo anche perché il tanto promesso “reddito di cittadinanza” appare, nella situazione della finanza pubblica, come un’Araba Fenice.

Sul piano più strettamente della politica europea, mentre parte del Governo guarda un’alleanza con la Francia, un’altra non nasconde le proprie simpatie per il “gruppo di Visegrad”. A Bruxelles, e nelle principali capitali europee, è sempre più diffusa l’opinione secondo cui i loro attuali interlocutori italiani cederanno presto i loro ruoli ad altri poiché il Governo si sfalderà in tempo per andare di nuovo a elezioni politiche in coincidenza con le “europee” della prossima primavera.