Il Fondo monetario internazionale, in un documento preparato in vista del G20 di Buenos Aires, torna a evidenziare come “l’incertezza sulle future politiche” possa rallentare la crescita in Italia. Un nuovo alert, quindi, sui rischi che corre il nostro Paese in base all’operato del Governo. «L’Italia – ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison – non ha molti margini di manovra, anche perché non ha spazio fiscale. C’è chi pensa che sia possibile arrivare al 3% nel rapporto deficit/Pil, ma si tratta di una strada impraticabile. Non tanto perché verrebbe bocciata dalla Commissione europea o dal Fmi, ma perché sarebbero i mercati a punirci, perché vedrebbero un conseguente aumento del debito/Pil».



L’idea del Governo sembrerebbe quella di scomputare gli investimenti pubblici dal deficit oppure, come ha spiegato Paolo Savona, di reperire 50 miliardi, da usare sempre per investimenti, tenendo conto del surplus commerciale dell’Italia…

Si tratta di strade impraticabili se non vengono discusse e negoziate con l’Europa. E i negoziati richiedono tempo. Quella di Savona può essere anche un’idea buona, ma che non si può lanciare dalle colonne di un giornale italiano: deve nascere a Bruxelles, deve essere concertata con gli altri paesi dell’Ue. In questo momento poi l’Italia è vista con una certa diffidenza perché si è parlato di sforare il 3% del deficit/Pil e di uscita dall’euro. 



Tria ha comunque dato rassicurazioni su questi due punti. Come valuta in generale il suo operato?

Tria alla fine ha fatto capire che cercherà di ottenere da Bruxelles dei margini di flessibilità: la stessa identica cosa che cercava di fare prima di lui Padoan. Si tratta di fatto dell’unico spazio di manovra reale che abbiamo, così da ottenere qualche decimale di Pil per interventi utili. Per esempio, in passato ci sono serviti per gli 80 euro, il piano Industria 4.0, eliminare l’Imu sugli imbullonati e la componente lavoro dell’Irap: cose che sono state utili, visti gli effetti economici che hanno avuto e di cui ho già avuto modo di parlare. Un Governo che oggi vuole evitare, in una fase di indebolimento dell’economia come quella che stiamo vivendo, che venga meno questo effetto positivo, dovrebbe dare continuità. Ma i provvedimenti finora annunciati e presi non hanno avuto un effetto molto positivo: le imprese, per esempio, hanno reagito negativamente sul Decreto dignità.



Cosa pensa di questo provvedimento?

Se il Pil è trainato dal turismo, dal commercio e dai servizi e in quei settori c’è un largo utilizzo del lavoro a termine, per caratteristiche intrinseche, come l’impiego in un albergo durante l’alta stagione, con questo provvedimento si rischia solo di frenare la domanda di lavoro con barriere anacronistiche. Ciò significa non solo non avere la percezione delle tendenze positive che sono in corso e che andrebbero assecondate piuttosto che frenate, ma anche non capire come funzionano queste realtà economiche. Credo che si trasformerà in un autogol che determinerà anche degli attriti interni, perché si è già visto che molti esponenti leghisti non sono contenti di questo provvedimento: sanno che parte del loro elettorato, fatto anche di imprenditori del nord, non si aspettava questo dal Governo.

Questi attriti potrebbero aumentare quando si arriverà alla messa a punto della Legge di bilancio?

Certamente il vero punto di svolta per capire anche la compattezza della maggioranza di Governo arriverà in quei giorni. Non si potrà più tergiversare, bisognerà andare a Bruxelles con delle idee e con dei numeri e si vedrà in che misura l’Italia è in grado di essere credibile, non solo di fronte all’Europa, ma anche dinanzi ai mercati. Tra l’altro arriveremo a quella data con il dato del Pil del secondo trimestre che, a giudicare dall’andamento della produzione industriale, non sarà eclatante. 

Un rallentamento dell’economia che non riguarda solo l’Italia…

Esatto. E un Paese debole come l’Italia, in un contesto mondiale, soprattutto europeo, che si sta indebolendo, non può permettersi incertezze. Ci vuole concretezza, non una rincorsa populista dei 5 Stelle in economia per recuperare consensi rispetto a quelli che la Lega sta guadagnando con il tema migranti. I pentastellati rischiano di perdere quell’aplomb con cui stavano cercando di ottenere un accreditamento presso il ceto medio e le imprese. Se si mettono zeppe all’economia, però, questo consenso non lo si otterrà mai, anzi si rischia solo di perderlo. 

(Lorenzo Torrisi)