Il tradizionale Check up estivo realizzato da Confindustria e Srm sul Mezzogiorno conferma le conclusioni della Fondazione La Malfa sul fatto che il sistema imprenditoriale meridionale è più resiliente di quanto normalmente s’immagini. Esiste uno scheletro di medie aziende che non hanno nulla da invidiare alle consorelle del Centro e del Nord e una miriade di piccole realtà che neanche la crisi riesce a debellare.
Anzi, nelle criticità del Paese sembrano quasi star bene dal momento che i dati dell’industria in senso stretto sono addirittura migliori della media nazionale in termini d’incremento del valore aggiunto e questa è certamente una sorpresa. Calano le sofferenze e migliora l’affidabilità bancaria: un’altra circostanza che l’esperienza di tutti i giorni non avrebbe fatto sospettare.
Ma di certo c’è un neo. Ed è grande grande grande, e perciò molto visibile. L’occupazione stenta a recuperare i livelli del 2008 e, anzi, se ne discosta talmente tanto che ci vorranno anni e anni prima che la differenza sia colmata. Un vulnus non da poco in un Paese che ha messo all’articolo 1 della Costituzione la tutela del lavoro. Almeno di quello ufficiale, che rientra nelle statistiche. Sì, perché in attesa che si compia il miracolo di una ripresa omogenea si acuisce il fenomeno delle disuguaglianze per il quale la media non indica un bel niente. Per un’impresa che cresce sana e forte perché integrata in una solida catena del valore, ce ne sono decine che stentano a sopravvivere sopra la soglia della visibilità. S’inabissano e vanno ad alimentare l’economia informale che tende al nero.
Nulla di nuovo sotto il sole. I fondi europei della coesione territoriale continuano a essere spesi con il contagocce – come ricorda anche il neo ministro grillino del Mezzogiorno Barbara Lezzi -, gli investimenti in infrastrutture non decollano con decine di migliaia di aziende di costruzione che chiudono i battenti, l’unico polo industriale di una certa rilevanza (l’Ilva di Taranto) è sotto scacco. Per usare una frase logora, la fotografia che ne viene fuori è ancora una volta in bianco e nero. Con i bianchi che contendono a fatica gli spazi ai neri nonostante gli sforzi messi in campo da tanti tantissimi imprenditori – di tradizione e appena nati – che vogliono credere alla possibilità di costruire un progetto di vita scommettendo sulle proprie forze e abilità come l’effervescenza delle start up dimostra.
Un forte e determinante impulso potrà venire dai 6 miliardi e passa d’investimenti prenotati come credito d’imposta per l’innovazione e sbloccati proprio nei giorni scorsi grazie a un’intesa tra governo e prefetture, fortemente voluta da Confindustria, in base alla quale per l’avvio delle attività non si dovrà più attendere il lasciapassare del certificato antimafia. I controlli seguiranno. Chi sbaglia, paga.
In un mondo in precipitoso cambiamento, la Pubblica amministrazione resta un punto fermo. E non è una buona notizia perché la fermezza in questo caso non è fonte di conforto, ma di paralisi. Nell’Italia dei divari la distanza che corre tra l’impresa privata che deve competere per sopravvivere e il settore pubblico che per sopravvivere si rifugia nell’immobilismo cresce a dismisura.