Eppur si muove: la crescita economica del Mezzogiorno d’Italia continua. In un’Italia che invece già rallenta, la crescita del Sud continua. Ma non velocemente ed energicamente quanto sarebbe necessario: anzi, i segnali positivi restano prevalenti, ma il ritmo con cui i valori pre-crisi vengono recuperati è ancora contenuto, e si registra qualche rischio di rallentamento. È il giudizio emerso ieri dal Check Up Mezzogiorno del luglio 2018, tradizionale studio curato da Confindustria con Srm – Studi e ricerche per il Mezzogiorno (Centro Studi del Gruppo Intesa Sanpaolo) – che periodicamente fotografa la situazione socio-economica e produttiva delle regioni meridionali. Ma come ricavarne indicazioni per la politica economica finalizzata a sostenere questa ripresa e affidata, almeno nel programma di governo, al rinato ministero del Mezzogiorno, tenuto da Barbara Lezzi? Per Amedeo Lepore, docente di storia economica sia all’Università Vanvitelli di Napoli che alla Luiss e già assessore alle Attività produttive della Regione Campania, l’indice del Cup 2018 mostra con chiarezza che «la ripresa continua ed è legata fortemente al sistema manifatturiero. Gli investimenti nell’industria crescono considerevolmente. Quindi bisogna puntare sulle imprese, specie quelle in grado di fare sistema, al di là della loro dimensione, e creare filiere produttive. Per rafforzare e accelerare la crescita occorre quindi che gli investimenti industriali aumentino». 



Quindi il sistema produttivo del Sud è vitale?

I cinque indicatori specifici (ricchezza prodotta, livelli occupazionali, numero delle imprese, export e investimenti) lo confermano, e anche l’indice generale, pur rimanendo ancora distante dai valori pre-crisi del 2007 (ci sono ancora 40 punti di differenza), è cresciuto di 15 punti. Ma già negli ultimi quattro anni, come insieme a Giuseppe Coco abbiamo messo in evidenza nel saggio “Il risveglio del Mezzogiorno”, c’è stata una ripresa che non va vanificata. È una ripresa ancora allo stadio iniziale, ma dovuta soprattutto alla vitalità del sistema produttivo (oltre che ad alcune azioni di politica industriale), che sta dimostrando di essere proattivo in molti suoi comparti e che dopo aver subito una falcidia, ora mostra come molte imprese di piccole, medie e grandi dimensioni siano uscite dalla fase della crisi e stiano facendo azioni di forte e consistente crescita nel Mezzogiorno.



Il Sud potrebbe addirittura crescere lievemente più della media nazionale…

Si parla di una crescita del Mezzogiorno dell’1,4%. Che consente al Sud di mantenersi ai livelli del resto del Paese o forse leggermente superiore. Non è un processo di convergenza consolidato, ma è un dato positivo. Che mostra come anche la fiducia degli operatori economici sia in fase di forte recupero. Ma bisogna fare attenzione ad aumentare il ritmo e non a ridurlo. E molto dipenderà dalle politiche industriali che verranno adottate. La strategia è una sola: impegnarsi, naturalmente nel quadro delle compatibilità date, e senza fare voli pindarici, verso una politica degli investimenti.



Ci spiega quali sono le evidenze positive del rapporto?

Intanto il numero delle imprese: aumentano, sono quasi 9.000 in più. C’è stata una crescita delle imprese in rete e delle start-up innovative. Ci sono inoltre 190.000 imprese giovanili: si cominciano ad avvertire gli effetti dell’autoimprenditorialità incentivata dal piano Resto al Sud (in pochi mesi sono state presentate circa 4.000 domande). Anche l’export è positivo, si mantiene a un livello leggermente superiore a quello indicato da altri studi di ricerca. Però questo andamento non è ancora tale da invertire il dato relativo alla bilancia commerciale complessiva. Dunque anche quello dell’export è un dato positivo, che però deve essere fortemente incrementato. Ma l’elemento che mi sembra più significativo è l’incremento del valore aggiunto industriale nel Mezzogiorno. In particolare la crescita dell’industria in senso stretto (+4,4%). Questo è un dato molto positivo perché significa sostanzialmente che gli investimenti industriali stanno avendo effetto.

Cosa manca, invece?

Specie per la parte più debole delle imprese occorrerebbero misure di sostegno del credito, soprattutto attraverso strumenti di finanza alternativa. Su questo fronte vedo una grande importanza del Fondo centrale di garanzia e del Fondo Pmi, che possono alimentare significativamente, se in grado di seguire le esigenze dei territori meridionali, delle forme di credito alternativo.

Si può essere soddisfatti del trend occupazionale?

Fino a un certo punto. È vero che risultano 60.000 occupati in più, che però sono distribuiti in modo disomogeneo ed è ancora pesantissimo il fatto che quasi il 50% dei giovani non lavora e un terzo non lavora e non studia. Ci sono ancora da recuperare 400.000 posti di lavoro rispetto ai livelli pre-crisi. Se sommiamo questi dati a quelli della povertà, che è ancora molto forte, c’è senz’altro un dato positivo, un miglioramento complessivo della situazione, grazie appunto all’industria che sta trainando la ripresa, ma c’è ancora una piaga sociale che non è risanata e che spiega anche la differenza tra la percezione degli investimenti e dei cambiamenti provocati dall’industria e la difficoltà per una parte della popolazione a trovare risposte pratiche ai propri problemi di qualità della vita. 

Si parla tanto di sussidi vari…

Certo, da questo punto di vista ci si interroga se debba esserci una politica più di carattere assistenziale o invece una che continui a sostenere gli investimenti. Sinceramente io credo che sarebbe bello avere dei risultati positivi su ambo i fronti, ma se si vuole cambiare strutturalmente anche il dato dei livelli di povertà e disoccupazione, lo strumento fondamentale è quello delle politiche di investimento. Poi ci possono anche essere delle misure ponte che possono essere adottate, come il Reddito di inclusione, ma se si sottraggono risorse agli investimenti si provoca un grave danno per la continuità e l’accelerazione della ripresa di cui il Mezzogiorno ha bisogno.

In concreto, quali strumenti usare?

In questo rapporto ne vengono indicati due. Uno è quello degli investimenti in impianti e attrezzature, sostenuto soprattutto da una misura come il credito di imposta per gli investimenti al Sud. Questo credito di imposta che è stato sbloccato da qualche giorno, grazie al fatto che le imprese possono beneficiarne senza attendere una serie di adempimenti burocratici, ha realizzato tra l’aprile 2017 a oggi 2,2 miliardi di sgravi fiscali che hanno comportato 6,4 miliardi di investimenti nel Mezzogiorno. Dunque è uno strumento potente, ulteriormente potenziato per le zone economiche speciali (che in Campania e Calabria sono già state istituite), dove potrà essere utilizzato per coprire investimenti fino a 50 milioni di euro. La maggior parte di questi 6,4 miliardi di investimenti sono stati effettuati in Campania (circa 2 miliardi). L’elemento che invece non c’è in questa ricerca e che invece a mio avviso è di grandissima importanza è un altro strumento di carattere nazionale: i contratti di sviluppo.

Ci spieghi…

Si tratta di strumenti che consentono varie forme di incentivazione, fino al 75% degli investimenti. Permette sia contributi a fondo perduto che varie forme di fondi di rotazione. La parte maggiore di questa attività di agevolazione sono i fondi di rotazione. Questa misura, che è stata finora ben finanziata, è stata in alcune aeree territoriali frutto di un accordo tra Regioni e Governo: in particolare in Calabria e in Campania si sono firmati due accordi di programma per co-finanziare i contratti di sviluppo. Questo strumento sta realizzando grandi investimenti nel Mezzogiorno. In Campania i contratti di sviluppo hanno finanziato 1,5 miliardi di investimenti industriali tra il 2015 e il 2018, le imprese hanno ricevuto 840 milioni di agevolazioni, sono stati creati o stabilizzati quasi 22.000 posti di lavoro. Grazie all’accordo con il Governo, fino al 2020 questi investimenti si raddoppieranno. E vorrei segnalare un dato che nel rapporto non è a mio avviso adeguatamente sottolineato, mentre lo è stato nelle slides di presentazione all’evento pubblico: queste politiche industriali non hanno favorito solo le imprese più forti e più grandi. 

Anche quelle piccole e medie?

La parte del rapporto che si riferisce alle filiere mette in evidenza una precedente indagine di Srm, nella quale emergeva che nelle quattro A (agroalimentare, automotive, aerospazio, abbigliamento) più il settore farmaceutico si è avuta una particolare dinamica delle imprese meridionali: sebbene questo ambito sia fortemente dipendente dagli input di altre industrie, c’è un bilanciamento di questo input attraverso un output che è costituito da un 50% di prodotti che viene riversato su altre industrie che si trovano su territori adiacenti e da un 50% di prodotti che vengono esportati. I mercati di sbocco non sono più dunque solo quelli dell’esportazione, ma si sono create delle filiere (lunghe e larghe dice Srm). In questo modo gli investimenti, ad esempio quelli dei contratti di sviluppo, non si sono fermati alla singola impresa che ha ricevuto questa provvidenza, ma si sono riversati a monte e a valle su una filiera produttiva, soprattutto meridionale e italiana, che sta diventando una filiera molto consistente. 

Qual è l’indicazione più significativa che se ne può trarre?

Che le Pmi stanno uscendo da una logica assistenziale nel Mezzogiorno che le vede sopravvivere solo se hanno delle provvidenze pubbliche. Attraverso strumenti di politica industriale come i contratti di sviluppo, si stanno collegando a imprese più grandi, costituendo delle filiere finalizzate all’esportazione, all’internazionalizzazione e a un forte sostegno al valore aggiunto manifatturiero. Si è in sostanza creata un’alleanza tra i produttori di questi settori, che sta cambiando un quadro che per le Pmi era stagnante. Dunque gli investimenti che si fanno attraverso i contratti di sviluppo consentono di creare filiere produttive e sono quindi doppiamente utili.

Ma se i contratti di sviluppo sono così utili, si può sperare che vadano avanti?

Una recente delibera del Cipe ha stanziato nuovi 850 milioni per questa tipologia di contratti. Si spera quindi che questo strumento non solo non venga abbandonato, ma venga potenziato, perché è uno dei più utili, insieme al credito d’imposta sugli investimenti, per favorire la crescita produttiva del Mezzogiorno. E non solo, visto che si è creata un’alleanza tra imprese del nord e del sud, collegate da queste filiere. Se le imprese del sud crescono, favoriscono anche la crescita dell’apparato manifatturiero del nord. C’è quindi una reciprocità di interessi.