L’economia statunitense sta correndo a tutta birra verso il dirupo? Il primo a evocare l’immagine di Wile E. Coyote, il personaggio dei cartoons che corre verso il vuoto senza guardarsi attorno, è stato, probabilmente, Patrick Zweifel di Pictet, raggiunto in settimana nientemeno che da Ben Bernanke, l’ex Presidente della Fed. L’effetto positivo dei tagli fiscali americani, è la sua previsione, si esaurirà bruscamente due anni dopo la loro introduzione nel gennaio scorso e il tasso di crescita degli Stati Uniti, in questo momento vicino al 4%, scenderà verso lo zero almeno per qualche mese.



Andrà così? Difficile che si arrivi alla resa dei conti prima di almeno 12-18 mesi visto l’orientamento del presidente Trump che, con una mossa senza precedenti, ha già criticato la Fed per aver imboccato la strada dell’aumento dei tassi e che anticipa per l’anno prossimo nuovi tagli delle tasse, questa volta per le persone fisiche e, in più, permanenti. Una politica in controtendenza con la logica e il buon senso, sostengono molti economisti, anche perché l’abbondante spesa spinta dalla politica del Presidente coincide con il record minimo di disoccupazione. L’attuale ripresa dell’economia statunitense, per giunta, è già la seconda nella storia in termini di durata. Dal precedente livello minimo di giugno 2009, ci sono stati 108 mesi di crescita ininterrotta. Solo da marzo 1991 a marzo 2001 c’è stato un periodo di boom più lungo. Ciò ha indotto molti a domandarsi quanto potrà durare ancora questo ciclo. 



Ma una fine imminente dell’espansione è poco probabile, anche se alcuni segnali seminano qualche inquietudine. La curva dei tassi, tanti per cominciare, si restringe sempre di più. Ormai la distanza tra i bond a 2 anni e il decennale è scesa ai minimi dal luglio 2007, prima della grande crisi (che non fu prevista da Bernanke o dagli altri banchieri, come ha ricordato a suo tempo la regina Elisabetta II). Il ribasso del costo del denaro a medio-lungo termine riflette la sfiducia dei mercati sulla ripresa dell’inflazione e sulla propensione a investire. La conferma arriva dall’atteggiamento delle società americane che preferiscono risparmiare o restituire la liquidità agli azionisti. Solo il settore pubblico ha aumentato il deficit nell’ultimo trimestre, mentre tutti gli altri – spesa domestica delle famiglie e delle aziende, e investitori esteri – sono saldamente in modalità risparmio. Il surplus dell’azienda America è particolarmente elevato, all’1,8% del Pil, il livello massimo dal 2010.



La guerra dei dazi, poi, sembra destinata ad accentuare il fenomeno, a giudicare dal calo dei prezzi delle materie prime che anticipa il pessimismo sulle richieste delle imprese. Il prezzo del rame sta andando a picco sotto la soglia dei 6 mila dollari. I dazi sull’alluminio, introdotti da Trump per rilanciare il settore a livello domestico, si sono rivelati un boomerang per Alcoa che ha perduto oltre il 10% in una giornata dopo il warning per il calo della domanda. In attesa dello scontro sull’auto perdono quota argento e platino impiegati nell’industria a quattro ruote. Non viene risparmiato il palladio, essenziale per le batterie dell’auto elettrica: Panasonic ha deciso di tagliare le consegne a Tesla per non incorrere nelle sanzioni di Trump sulle importazioni da Cuba della materia prima. 

Insomma, l’attuale politica dell’amministrazione favorisce l’attuale ripresa economica, ma potrebbe anche esacerbare le difficoltà quando alla fine arriverà la recessione. Nel frattempo Wile E. Coyote, l’eroe dei cartoon che, durante i suoi inseguimenti a Beep Beep esce puntualmente dalla strada che si inerpica lungo la roccia, continua a correre senza accorgersi che non c’è più il terreno sotto le sue zampe. Prima o poi guarderà giù, vedrà il vuoto e precipiterà nel canyon. 

Giù, nel deserto, troverà qualche sherpa del ministro italiano Giovanni Tria (se ci sarà ancora) impegnato a scovare qualche pepita d’oro o a trovare qualche mercante cinese un po’ credulone disposto a comprare un po’ di debito italiano, una parte di quei 400 miliardi di euro che l’Italia deve racimolare ogni anno per finanziare il debito. Mica facile, dopo la fine degli acquisti della Bce.