Per anni a La Stampa, Francesco Sisci ha conosciuto da vicino la famiglia Agnelli e la casa torinese, prima e durante gli anni di Sergio Marchionne. Scelte industriali, politica e nuovi mercati: ecco i tre nuovi fronti di Fca, tutti interconnessi. E un ruolo importante lo ha ancora l’Italia. Ecco perché.

Sisci, si può fare un bilancio dell’era Marchionne in Fiat-Fca?



Sotto Marchionne la Fiat ha fatto un miracolo triplo. In primo luogo è sopravvissuta, cosa non sicura nel 2004, quando sembrava che l’industria automobilistica italiana dovesse finire. La seconda cosa è stata uscire dal mercato italiano, che la intrappolava sia per le dimensioni, perché il mercato italiano non era più in grado di sostenere un grande marchio auto, sia come forma industriale, sottoponendola a un ricatto: lo stato le dava aiuti, diretti o indiretti, e in cambio la Fiat si assumeva oneri sociali.



Cioè non licenziava, per esempio, quando ne avrebbe avuto bisogno. E diventando americana?

Diventando americana la Fiat ha avuto accesso a un mercato molto più ampio e a una vera proiezione globale, cosa che le ha consentito anche di ristrutturare l’azienda in vari settori, più indipendenti l’uno dall’altro. Il terzo aspetto è che comunque l’azienda ha continuato a mantenere un peso politico in Italia, appoggiando prima Monti e poi Renzi.

Qual è la situazione attuale alla luce delle sfide del settore auto?

Oggi le sfide sono diverse su tutti i fronti. Il gruppo non deve più sopravvivere ma l’industria sta radicalmente cambiando. L’avvento dell’auto elettrica e della guida satellitare trasformeranno l’ingegneria e la produzione dell’auto. I tempi di questo avvento sono incerti, ma sicuramente la Fiat è arretrata su entrambi i fronti. La sfida dell’auto elettrica per esempio è guidata dalla Tesla, che registra ritardi perché vuole approntare una produzione quasi totalmente automatizzata, cosa molto più difficile del previsto. Ma anche senza la Tesla, le giapponesi o la Bmw stanno facendo grandi passi avanti.



E la Fiat è molto dietro.

Sì. Sull’auto con guida automatica tanti sono interessati. Qui bisogna fare i conti con Google, che sembrava in testa ma che secondo me ha sbagliato ad applicare subito il criterio alla guida di auto passeggeri in città. Forse il progetto doveva essere applicato iniziando da altri settori. In questo settore la Fiat sta lavorando con Google, ma in maniera per ora subalterna. 

Torniamo alla politica. Un rapporto controverso.

Una grande industria, in Italia o in America, non può far finta che la politica non le interessi. Marchionne in America era con Obama, con Trump ora cosa faranno i nuovi dirigenti? 

Veniamo ai mercati.

L’ultima sfida riguarda proprio i mercati. La Fiat è debolissima in Asia, il mercato che cresce di più al mondo. in Asia è mancata una strategia politica ancor prima che industriale. Un peccato veniale, a fronte del successo del trasferimento in America e della salvezza dell’azienda. Ora però, quando tutti vanno verso l’auto elettrica e l’auto teleguidata e la Fiat è assente nella prima e pure nella seconda, l’assenza asiatica potrebbe essere pesante. Occorre una nuova strategia.

Il rilancio operato da Marchionne insegna qualcosa?

L’idea forte nel 2005 fu cercare di comprare la Chrysler a costo zero, grazie a una tecnologia dei motori Fiat a risparmio energetico quando il mondo era spaventato dall’inquinamento. Quella in realtà fu un’idea che venne da John Elkann, e Marchionne la applicò benissimo. Oggi cosa vuole fare Elkann?

Quali sono i paletti della strategia che serve oggi a Fca?

Per un’industria globalizzata come la Fiat e un settore globalizzante come l’auto occorre partire dalla geopolitica, dai mercati. Che giudizio dà la Fiat dell’evoluzione dei mercati del futuro? Che ne pensa dell’evoluzione della guerra commerciale tra Usa e Cina? Peggiorerà o migliorerà? E soprattutto come vorrà schierarsi la Fiat in questo scontro? Ovvero che politiche industriali intende attuare in questo contesto? Inoltre ci sono le sfide più politiche nei due teatri politici di riferimento, gli Usa e l’Italia. 

Partiamo dagli Stati Uniti.

La Fiat è sempre più americana, e così è giusto che sia, ma come si pone con Trump, che potrebbe uscire trionfatore alle elezioni di midterm e che vuole riportare le varie produzioni industriali in America?

E quanto all’Italia?

In Italia la Fiat è stata ed è un’istituzione. Con la Juventus, i giornali, la forza della Fiat in Italia significa anche un atout particolare per la Fiat in America e nel mondo. Perdere l’Italia o indebolirsi troppo in Italia avrebbe ricadute anche nella forza Fiat globale. Ma la situazione italiana è estremamente confusa e in passato la Fiat ha scelto cavalli che hanno perso, Monti e Renzi, e anche oggi quello che è il suo nuovo giornale riferimento, Repubblica, scommette che Lega e M5s siano un fenomeno passeggero e che il Pd di Renzi tornerà in gloria. La Fiat in questo ha ragione? E se avesse torto?

Secondo lei?

E’ la Fiat a dover scegliere. Perdere il polso della situazione in Italia non significa perdere guadagni, ma significa perdere prestigio, e questo sul lungo termine potrebbe avere ricadute complesse. Un manager inglese, una direzione tutta straniera, saprà governare queste sfide?

L’unica è aspettare e capire le prime mosse, dunque?

Sì. Sono scelte difficili che vanno fatte al più presto perché si tratta di rischi tutti molto grandi. La Fiat oggi è in una posizione migliore di 14 anni fa, perché è molto più solida e perché Elkann è più maturo. Ma si tratta di sfide molto grandi.

(Federico Ferraù)

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