Dunque, scopro che questo governo – oltre ad essere il migliore possibile – sarebbe l’argine contro la svendita dell’Italia alle potenze estere, in primis l’Ilva. Ora, al netto che mi sfugga la ratio che dovrebbe tramutare un investimento da 5 miliardi in una fabbrica disfunzionale (e di tumori) come l’Ilva in una svendita, mi sorge anche un dubbio: ma gli apologeti di questa accozzaglia che si chiama governo, ci sono o ci fanno? Perché se è vero com’è vero che l’avviso di garanzia al ministro Paolo Savona appare come il più classico dei segnali a orologeria, oltre che un mero atto dovuto, altresì fa nascere qualche dubbio sulla doppia morale che permea ontologicamente di sé questo esecutivo.



Il problema, infatti, non è l’avviso di garanzia, quanto il reato ipotizzato. Ovvero, usura bancaria. E lungi da me pensare che un uomo come Paolo Savona possa essersi macchiato di una tale colpa, ma è il contesto in cui ha operato che lo ha portato a trovarsi, sicuramente suo malgrado, invischiato in questa vicenda: colui che viene dipinto come il Che Guevara dell’identità e dell’orgoglio nazionale, il baluardo sovranista contro l’Europa delle élites bancarie e finanziarie che punta a scardinare e rovesciare come un calzino (a proposito, com’è andato l’annunciato incontro con Mario Draghi?), dentro le banche ci ha campato tutta la vita. E non al credito cooperativo di Codazzo, come cassiere o guardia giurata, ma prima a Bankitalia e poi a Unicredit. Dove non credo la sua esperienza e il suo sapere siano stati remunerati con una pacca sulla spalla e un rimborso spese. Ovviamente vi diranno che lui era lì dentro per combattere dall’interno il sistema, ciò non toglie che era nel sistema: al più alto livello. A tale livello da ritrovarsi con un avviso di garanzia insieme ad altri nomi eccellenti di quell’universo, da Profumo in giù.



A essere colpita, quindi, non è l’integrità morale del professor Savona, a mio modo di vedere assolutamente intatta, ma qualcosa di più strutturale e delicato, tanto da aver già suscitato parecchi mugugni interni a M5S: la narrativa stessa in base alla quale questo governo è dalla parte del popolo e contro gli interessi delle élites. D’altronde, viviamo dentro un equivoco a livello globale. Chi è ritenuto il gran visir di tutti i sovranisti, l’uomo che con la sua elezione ha fatto partire il grande domino della rivincita dei popoli? Donald Trump. E chi fa parte del gabinetto economico della Casa Bianca? Soltanto ex dirigenti di Goldman Sachs e altre istituzioni di Wall Street, non esattamente Ong e Onlus. E quale atto ha compiuto lo stesso Trump non più tardi di tre settimane fa? Ordinare de facto alla Fed di votare per lo stralcio del Dodd-Frank Act, ovvero la regolamentazione voluta da Barack Obama per porre un limite a speculazione e azzardo morale, le chiave del disastro del 2008. Ma questo non viene fatto notare, Trump è solo quello dell’America great again, mentre le grandi banche d’affari di Wall Street che gestiscono la sua politica economica e beneficiano dei suoi atti d’imperio verso la Fed stanno allegramente scaricando sul parco buoi, leggi i gonzi che lo hanno mandato alla Casa Bianca, tutta la porcheria che hanno in portafoglio, prima che sia tardi. Esattamente come nel 2008. E i primi a fare scorpacciata negli Usa sono i fondi pensione, quindi auguroni! Ma anche questo, è meglio non dirlo.



Volete sapere, tornando all’Italia, come questo governo sta tutelando gli interessi strategici e industriali, proprio riguardo l’Ilva? Ve lo mostra questo video: venerdì il ministro competente, ovvero il leader grillino Luigi Di Maio, era alla Camera per “comunicazioni urgenti”, sul caso dell’acciaieria tarantina, di fatto la solita scusa per ingaggiare l’ennesimo duello con Carlo Calenda sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini. E quanti erano in Aula ad ascoltarlo, mentre raccontava le magnifiche sorti e progressive che questo governo ha in serbo per l’azienda? In tredici. Avete letto bene, tredici (13). E siccome questo è il governo del cambiamento e tutto ciò che c’era prima era schifo, ladrocinio e pedissequo asservimento ai desiderata europei, il fatto che in Aula non ci fossero membri dell’opposizione non stupisce. Ma la pletora di deputati grillini e leghisti emersa dal voto del 4 marzo, dov’era? Avendo lavorato alla Camera per 8 mesi, mi sento di dirvelo con certezza: al mare. O in montagna. Ovviamente, utilizzando poi la scusa classica: lavoro sul territorio. Che il giovedì in Parlamento ci sia il fuggi fuggi con il trolley in mano verso Termini o Fiumicino lo sanno anche i sassi, figuratevi nel mese di luglio. Di Maio, poi, è stato così poco rispettoso della stanchezza parlamentare da presentarsi addirittura di venerdì: risultato? Aula vuota, compresi, leghisti e grillini che reggono questo governo che dovrebbe tutelare l’Italia e i suoi gioielli (immagino anche quel carrozzone disfunzionale di Alitalia, stante le ultime dichiarazioni di rinazionalizzazione al riguardo: infatti da quando se ne è andata, eleggendo Fiumicino a hub di riferimento, Malpensa è andata in fallimento e Milano e il Nord Italia non hanno più turismo) dalle predazioni straniere.

Lo capite che con questa storia del sovranismo vi stanno sovranamente prendendo per i fondelli? Che sono un covo di incompetenti che cerca di portare a casa il possibile, da qui all’autunno, perché poi non saprà come far quadrare i conti con le promesse elettorali fatte prima del 4 marzo? Non hanno coperture finanziarie e, a meno di una bicamerale organizzata al volo per cambiare la Costituzione, il Quirinale gli rimanderà giustamente al mittente le ipotesi da film di Mel Brooks che stanno tirando fuori dal cilindro per finanziare idiozie come il reddito di cittadinanza o la flat tax, già divenuta progressiva: il primo caso di “tassa piatta” progressiva, quantomeno il Nobel per l’Economia lo vinceranno. Ed evito per carità di Patria di addentrarmi nella questione Cassa depositi e prestiti o, peggio, nel cosiddetto “Decreto dignità”: chiunque in vita sua abbia lavorato, veramente, anche solo per 10 minuti, lo ha giudicato per ciò che è.

Sul fatto che il prossimo governo, quello targato Troika, sarà poi felicissimo di utilizzare il regalo fattogli dai grillini con quella pagliacciata del ricalcolo dei vitalizi per fare strame di tutte le pensioni in odore di contributivo o contributi figurativi o prepensionamenti dovuti a scalini e scaloni, ho già parlato la scorsa settimana, quindi evito di tornarci. Hanno creato il precedente, in bocca al lupo a tutti voi, se avete ad esempio riscattato gli anni dell’università, dell’apprendistato o del militare per andare in pensione. Ma si sa, quando lor signori non sanno a cosa attaccarsi, c’è sempre il mantra: è colpa della Germania e dell’euro.

Prendete il caso greco. Che le banche francesi e tedesche abbiano sfruttato il “salvataggio” di Atene per rientrare da investimenti a rischio è noto anche ai bambini, però c’è anche il rovescio della medaglia. Io stesso ho più volte attaccato le scelte europee e del Fmi in merito, semplicemente perché stavano scaricando sulle fasce più deboli della popolazione le colpe di una classe politica corrotta e incapace: furono infatti Berlino o Parigi (o, magari, direttamente il medico) a ordinare al governo greco di organizzare – svenandosi in investimenti faraonici per strutture poi lasciate al degrado – le Olimpiadi, quando già le casse statali languivano? E furono loro a spingerlo a truccare conti e bilanci, ricorrendo poi a swap allegri e derivati per nascondere buchi e magagne? E poi, guardate questo grafico: le banche tedesche e francesi avranno anche giocato sporco in Grecia (sono banche, non Onlus e forse visto quanto accaduto solo in Veneto, sarebbe meglio che certi patrioti dell’ultim’ora tacessero), ma hanno prestato soldi alle loro imprese nazionali, negli anni del post-crisi e della ripresa. Guardate le nostre e le stra-indebitate spagnole, invece.

E che la Germania non sia un paradiso, sono stato io a scriverlo non più tardi del mese di aprile proprio su queste pagine con un ampio resoconto che partiva dal bel numero speciale dedicato dall’Economist al tema, ma quella è una questione strutturale di divaricazione della ridistribuzione della ricchezza che tocca tutto l’Occidente, a causa proprio del criminale abuso sistemico di politiche monetariste espansive della Banche centrali che hanno garantito, nei fatti, gli interessi di pochi e discapito dei molti (e Donald Trump è stato uno dei miracoli della Fed, ricordatevelo, così come il tanto celebrato Marchionne dei sussidi federali e degli aiuti di Stato di Barack Obama). Però, prima di voler dare lezioni alla Germania, soprattutto da parte di chi vorrebbe il reddito di cittadinanza, vi invito a guardare questi grafici: sono i tempi medi di pagamento della Pubblica amministrazione nei Paesi europei nei confronti dei suoi creditori (in un caso c’è anche il livello temporale di saldo fra imprese). Chi, a differenza degli apologeti accademici di questo governo, ha lavorato davvero in vita sua, anche solo un minuto, che conclusioni trae? Quale modello di Stato, società e sistema bancario è meglio prendere ad esempio?

Anche perché i tedeschi si sono fatti valere a tempo debito e si sono tenuti Landesbanken e Sparkasse, l’80% dell’intero sistema è di fatto pubblico e territoriale (oltre che non sottoposto alla vigilanza Bce): perché seguire la narrativa dei sovranisti, dicendo che i tedeschi bluffano e non essere realisti, dicendo che in Germania ci sono politici migliori (e più onesti) che fanno il bene dei loro cittadini, mentre qui abbiamo avuto gente che pur di ottenere dall’Ue la flessibilità per le mancette elettorali, si è svenduta a tempo di record banche popolari e di credito cooperativo? Tira brutta aria, quando si comincia a evocare il nazionalismo d’accatto per nascondere magagne e inadeguatezza, sembra il periodo dei campionati del Mondo o degli Europei, quando sui balconi fioriscono i tricolori invece dei gerani.

Scusate se mi sono dilungato come al solito, portando esempi, cifre e grafici a supporto delle mie tesi. Sono fatto così, parlare di economia in 20 righe solo con le sole chiacchiere propagandistiche, mi ha sempre dato fastidio. Più che altro, perché significa prendere in giro chi ti legge.