La reazione in Borsa dopo la notizia dell’uscita di Marchionne e la nomina dei nuovi ad di Ferrari e Fca è stata un calo dell’1,5% per Fiat e del 4,88% per Ferrari. Potremmo concludere che il mercato non è particolarmente preoccupato per Fiat, poco peggio di un mercato sceso dello 0,87%, e lo è molto di più per Ferrari. Le due performance però nascondono valutazioni molto diverse.
Fca dopo 14 anni di cura “Marchionne” è un gruppo finanziariamente in salute che ha sempre trovato modo di stupire gli investitori e suscitarne l’interesse. La performance azionaria è stata lusinghiera. Rimangono però alcuni punti deboli abbastanza evidenti: un’esposizione geografica non globale; il ritardo nell’elettrico e nell’ibrido, la bassa quota di mercato nell’alto di gamma. I successi finanziari di Fca non sono scollegati da questi punti deboli; se il gruppo avesse investito di più nell’ibrido, o nell’alto di gamma o avesse iniziato prima oggi i corsi azionari sarebbero probabilmente meno soddisfacenti. Agli investitori non piace che si investano miliardi di euro in programmi che possono non avere successo in settori maturi. Marchionne ha prodotto i massimi risultati finanziari forse a discapito di investimenti di più lungo termine. Non è un giudizio negativo, perché Fiat in questo modo ha superato brillantemente fasi del settore problematiche e ha evitato di dover bussare alla porta degli aiuti statali come successo, per esempio, per altri gruppi europei. Avere al timone un manager come Marchionne avrebbe garantito “gli azionisti” anche in presenza dei punti deboli di cui sopra.
Dopo 14 anni ci si fidava del manager italo-canadese, della sua capacità di convincere gli investitori e di chiudere operazioni di straordinaria amministrazione. Oggi rimane un gruppo in un settore complicato che si è appena affacciato nel segmento chiave dell’alto di gamma e con alcuni ritardi tecnologici. Senza un manager fidato a prevalere è l’incertezza o, se vogliamo, i rischi più che le opportunità. Questo è abbastanza evidente, così com’è evidente che il gruppo fosse attivamente impegnato in discussioni con altri partner; si vedano i tentativi alla luce del sole di Marchionne di “fondersi/vendersi” a GM. Oggi qualsiasi investitore conclude che le ragioni di una fusione/vendita più prima che poi sono aumentate.
L’alternativa sarebbe un azionista disposto a sacrificare i risultati finanziari per investire, ma il mercato ha concluso che non sia questo il caso, altrimenti il titolo avrebbe chiuso con un calo molto peggiore. Volendo essere brutali, ieri una pessima notizia per Fiat è stata sostanzialmente controbilanciata da un aumento dell’”appeal” speculativo del titolo. Aggiungiamo che Marchionne, con le sue abilità negoziali e i suoi successi, era in un certo senso un ostacolo alle trattative perché obbligava i potenziali compratori a essere pronti a prezzi e condizioni sfidanti.
Il discorso di Ferrari è diverso. È difficile pensare che qualcuno voglia vendere un marchio con pochi uguali, in un settore molto ricco e molto meno competitivo di quello dell’auto. Si può vendere Ferrari, ma non sono molte le società con cui la si può sostituire. La scommessa su Ferrari è una scommessa “industriale”, sullo sviluppo dei modelli, sulla riuscita di investimenti importanti che, secondo i target, porterebbero al raddoppio del margine operativo al 2022. Sullo sfondo rimangono le ipotesi di entrata nel mercato dei “suv” oppure quelle più fantasiose di un polo del lusso più ampio magari con un’ulteriore ridefinizione del portafoglio marchi o societario del gruppo.
L’appeal speculativo con un titolo che tratta a multipli importanti e che non ha spazio per migliorare la percezione tra i propri clienti potenziali è limitato. Rimane una scommessa industriale di medio lungo periodo, Marchionne sarebbe rimasto fino al 2022, che non può prescindere dalla persona che se ne fa carico. In questo caso non sono molti i manager che godono della stessa stima di Marchionne e che rendono credibili scenari di sviluppo industriale importanti in una nicchia di mercato in cui tutti vogliono entrare.