Sia l’Eurozone economic outlook, diffuso nel nostro Paese dall’Istat, che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nel corso dell’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, hanno evidenziato ieri la possibilità di un rallentamento del Pil già nel 2018, anche per via dei rischi rappresentati dalle tensioni commerciali internazionali e dagli aumenti dei tassi di interesse. «Non è un quadro drammatico, ma potrebbe essere una fase che se non interpretata con la dovuta lungimiranza ci può creare seri problemi l’anno prossimo. Il vero rischio in questo momento è pensare che siccome le cose si sono rimesse a posto rimarranno a posto per sempre», ci dice l’economista Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Professore dall’Eurozone economic outlook sembra emergere un quadro di debolezza per l’Europa, un po’ come si è visto nel recente vertice di Bruxelles…

Il quadro è ancora positivo, ma l’Europa non attraversa un momento facile, perché Germania e Italia sembrano essere concentrate in maniera esasperata sul tema dei migranti, che pare prevalere su ogni considerazione economica. Anche Francia e Spagna non vivono situazioni politiche semplici. Il nostro Paese sta ancora godendo dello slancio dato da misure economiche approvate nella scorsa legislatura, che sono state criticate, ma che hanno prodotto dei risultati. Credo che se non vengono intraprese a breve delle misure che possono dare ulteriori impulsi, ci sarà un quasi inevitabile rallentamento dell’economia. Cosa che avrebbe anche conseguenze sui parametri di contabilità pubblica, i rapporti deficit/Pil e debito/Pil.



Corriamo seriamente dei rischi da questo punto di vista?

Il quadro non è drammatico, ma questa potrebbe essere una fase che se non interpretata con la dovuta lungimiranza ci può creare seri problemi l’anno prossimo. Il vero elemento positivo che vedo in questo momento è il consolidamento ragguardevole dei fondamentali dell’economia italiana, di cui forse avremo piena contezza solo tra qualche anno. Di fatto abbiamo raggiunto per due anni lo stesso tasso di crescita di Pil procapite del G7, abbiamo avuto tassi di crescita della domanda privata tra i più alti in Europa, oltre che un milione e duecentomila posti di lavoro in più dall’inizio del Governo Renzi. 



Luigi Di Maio, commentando i dati Istat sull’occupazione, ha parlato di record di precari.

In realtà l’Istat ci ha detto che i posti di lavoro a tempo indeterminato sono oltre mezzo milione in più. E i dipendenti a tempo determinato sono cresciuti molto, andando anche a rimpiazzare il calo dei lavoratori indipendenti. Solo il futuro ci dirà se sono più precari quest’ultimi o i primi. Dal mio punto di vista credo si possa dire che i lavoratori indipendenti che c’erano prima, come quelli dell’edilizia, erano molto più precari anche se lavoravano a tempo pieno dei lavoratori dipendenti a tempo determinato attuali, che a volte sono impiegati in settori caratterizzati da stagionalità, come il turismo. Credo che il vero rischio in questo momento sia pensare che siccome le cose si sono rimesse a posto rimarranno a posto per sempre.

Il Governo, con il Decreto dignità, ha mosso i primi passi in campo economico. Come giudica i provvedimenti presi?

Mi sembra che ci sia un irrigidimento del mercato del lavoro. Capisco l’esigenza del Movimento 5 Stelle, attraverso il vicepremier Di Maio, di dare segnali che anche i 5 Stelle stanno ottenendo dei risultati. Salvini si sta assolutamente disoccupando dell’economia per seguire filoni, come quello dei migranti o della legittima difesa, che fanno breccia sulla popolazione del Nord e del Centro dove i problemi economici reali sono meno sentiti: la flat tax, di fatto, non se la ricorda più nessuno. Il problema dei Cinque Stelle è opposto: hanno fatto grandi promesse economiche e non ne stanno portando a casa nessuna, perché i margini contabili sono quelli che sono. Se potessi darei un suggerimento al ministro Di Maio. 

Quale?

Gli consiglierei di migliorare e potenziare quelle poche cose che sono state fatte con poche risorse dai precedenti governi e che hanno funzionato. Bisogna portare avanti ricette che, non potendosi basare sulla spesa pubblica, sono in grado di far aumentare i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese. Una volta finita la fase che sembra ancora di campagna elettorale, il Governo dovrà concentrarsi in modo pragmatico sulle cose che servono, non su quelle che sono state strombazzate.

Vuol dire che il Movimento 5 Stelle, più che la Lega che ha invece deciso di concentrarsi su temi non economici, deve cambiare linea?

Il problema non è che il Movimento 5 Stelle deve cambiare linea, perché non l’ha nemmeno avviata una linea: deve cominciare ad averne una, che non deve essere a mio avviso finalizzata a far percepire che sono state realizzate le promesse della campagna elettorale. Siccome le ricette che i 5 stelle hanno cavalcato sono soprattutto economiche, affinché non ci sia una delusione profonda bisogna sedersi a un tavolo e ragionare con qualche economista e mettere giù veramente un programma. Per esempio, come continuare il programma Industria 4.0 che è stato un successo? Gli 80 euro non sono piaciuti a nessuno sulla carta, ma hanno funzionato visto che i consumi delle famiglie sono aumentati: se diventassero 90 o se venissero estesi ad altre categorie forse sarebbe un passo avanti. Oppure potenziare la formazione professionale, visto che ci sono molte aziende che non trovano tecnici.

(Lorenzo Torrisi)