Pensavamo, sinceramente, che la sparata estiva di Carlo Cottarelli sul rapporto debito-Pil al 145% se non ci fossero state le misure di austerità del governo Monti sarebbe passata rapidamente e meritatamente nel dimenticatoio. Invece dopo aver fatto breccia sulle prime pagine di tutti i giornali è stata messa in circolo con successo e viene citata come verità di fatto, quando in realtà non è altro che una delle mille simulazioni che si potrebbero fare con risultati compresi tra il 150% e il 100% a seconda delle ipotesi scelte. Quello che stupisce, prima di qualsiasi altra considerazione, è la singolarità del dibattito italiano sulla vicenda rispetto a quello che si legge ormai da anni sulla stampa internazionale per bocca spesso di economisti blasonatissimi.
Prendiamo alcune analisi a caso. Per esempio quella del vice presidente della Bce Constancio: “Il programma di aggiustamento (per la Grecia) è stato troppo duro e non ha tenuto conto del collasso totale della speranza e delle aspettative”; per Constancio l’austerity è stata la causa della recessione del 2012-2013. Nel 2013 il Fondo monetario internazionale scriveva: “l’economia è andata incontro a una recessione molto peggiore delle aspettative con un tasso di disoccupazione eccezionalmente alto”. Krugman parla spesso di “austerity delusion”, ma in generale è ormai assodato che l’austerity è stata un fallimento, per la semplice ragione che il danno all’economia, il denominatore del rapporto debito/Pil, è stato molto peggiore di quello che si poteva pensare, innescando un circolo vizioso.
Quello che ci stupisce è come sia possibile ignorare il buon senso prima ancora dei calcoli statistici. L’andamento dei conti pubblici di Italia e Francia è stato del tutto simile, anzi fino al 2012 l’Italia faceva meglio. Dal 2008 al 2011 il debito su Pil francese è passato dal 68% all’85,2% (17 punti di Pil) e quello italiano dal 102,4% al 116,5% (14 punti di Pil); dal 2011 al 2014 quello francese è aumentato di 7 punti mentre il nostro di quasi 13 punti. Se l’Italia avesse continuato a fare le cose che faceva prima, come la Francia, con la stessa valuta, le sempre più simili regole europee e una marea di austerity in più, avrebbe come minimo dovuto fare meglio. Prendiamo la Francia come esempio perché è un Paese che ci somiglia e con dimensioni simili; in teoria noi, che esportiamo molto di più, avremmo dovuto beneficiare dell’indebolimento dell’euro. Cosa è successo nel 2012 in Italia che ha determinato un disallineamento della performance dei conti pubblici rispetto a quello francese così netto? Segnaliamo che dalla metà degli anni Novanta fino al fallimento di Lehman Brothers l’Italia ha ridotto il suo debito pubblico su Pil di quasi 20 punti, mentre quello francese è salito. L’Italia ha mantenuto questo percorso, tranne, come tutti, con la crisi globale del 2008, e poi, in modo del tutto anomalo, improvvisamente nel 2012 si è disallineata dalle altre economie sviluppate.
O ci siamo persi un meteorite caduto sull’Italia, oppure qualcuno ci sta raccontando solo metà della verità. Precisamente, omettendo la metà che riguarda gli effetti devastanti sulle aspettative e sui consumi che hanno rotto statistiche sul traffico autostradale italiano valide da una generazione e rimaste affidabili anche nel 2008, e quelli di un taglio indiscriminato e scriteriato alla spesa pubblica che, come noto, nel caso di uno Stato fa parte del Pil. Oppure quelli del panico generato dall’assenza della Bce quando la speculazione colpiva.
Per questo, senza entrare nei dettagli dei moltiplicatori tra spesa, tasse e Pil sappiamo già adesso che senza Monti avremmo continuato a fare, più o meno, quello che faceva la Francia (ma in realtà un po’ meglio) come successo dall’introduzione dell’euro in poi in ogni singolo ciclo economico. E quindi avremmo aumentato il debito su Pil di una quota simile a quello francese, e cioè almeno la metà di quello che abbiamo avuto. Vista la resilienza dei nostri saldi di finanza pubblica dopo la crisi Lehman, sicuramente se paragonati a quelli francesi, ci si chiede cosa si sia voluto vedere nel 2012 con lo spread a 500… Se non lo sapete ve lo diciamo noi: dal 2008 al 2011 il debito su Pil italiano è salito meno che in Spagna, Regno Unito (che ha bruciato 35 punti di debito su Pil in tre anni), Stati Uniti e si è comportato come quello tedesco; non solo: l’Italia dal 2008 al 2010 è stata più resiliente della Germania. Poi però nel 2012 e nel 2013 abbiamo fatto improvvisamente molto peggio, complici tre mesi di “distrazione” a fine 2011 della nostra banca centrale, la Bce, e qualcosa che è successo nel 2012.
Siamo perfettamente consapevoli che un livello di debito su Pil particolarmente alto può essere un elemento di rischio. Solo un pazzo o un creditore stupido o in malafede però può pensare di aumentare le proprie chance di riavere i soldi prestati spezzando una mano al debitore; certamente il debitore spaventato correrà ai ripari, però poi per un mese non andrà al lavoro. Per l’Italia è stato un anno. La tragedia è che il dibattito è ostaggio di chi dice che non si debbano tagliare le spese improduttive e chi dice che l’austerity fa bene. Il secondo caso fa più paura del primo e vi spieghiamo anche perché.
La seconda opzione è distruttiva e devasta la base produttiva, mentre la prima no. Per questo dopo il 2008 l’austerity non l’ha fatta nessuno, ognuno con il supporto della banca centrale, mentre in Europa è stata usata come mazza chiodata in una guerra fratricida e barbara tra Paesi europei. Per questo oggi l’austerity non la fa nessuno e accettiamo scommesse sulla durata del “tightening” della Fed al primo segnale di rallentamento economico.
Ma allora ci chiediamo: perché proprio adesso si difende l’indifendibile, vendendo in Italia un prodotto scaduto, l’austerity, respinto alle frontiere da tutti gli altri? Serve per preparare il terreno a un’altra austerity, “per l’Europa”, della nostra banca centrale, o serve per riabilitare un percorso politico fallimentare? Invece di invocare l’austerity, perché non parliamo dei mille rivoli improduttivi in cui finisce la spesa pubblica o dei costi della burocrazia, ecc.
Non sarà che l’austerity è effettivamente l’unica vera alternativa all’attuale corso politico italiano, l’unico concorrente rimasto? Ci spieghiamo meglio. Se questo governo, anti-austerity e anti-Europa, per una qualsiasi congiunzione astrale o una botta di fortuna riesce a migliorare la situazione economica, allora è finita per tutti gli altri e cioè per chi si oppone al “sovranismo populista italiano” nato soprattutto grazie all’austerity europea. Ci spingiamo ancora oltre: se invece per qualsiasi altro motivo con questo governo l’economia peggiora, e lo “spread” e i “mercati” ci minacciano, allora dev’essere pronta, e riabilitata, la sua alternativa naturale e cioè l’ortodossia dell’austerità europea, che gli italiani hanno capito essere un colossale strumento di potere interno all’Europa. L’austerity di Monti, avendo distrutto l’economia italiana, ha lavorato in senso europeo e europeista, così come inteso da questa parte delle Alpi, rendendoci dipendenti dall’Europa e ammazzando la sovranità sostanziale italiana; Berlusconi, con tutti i suoli limiti, era chiaramente un sovranista ante litteram, non solo in Italia, e quindi non era compatibile con l’Europa così come è intesa dagli europeisti italiani, e sicuramente era indigesto a francesi (si veda la Libia) e tedeschi.
Un governo populista italiano che disobbedendo alle regole europee avesse successo in economia cambierebbe per sempre l’Europa così come è stata costruita fino a oggi, con conseguenze impensabili. Ricordiamo l’intervista alla Cnn di Monti quando diceva di “distruggere la domanda interna italiana”; è, questa in realtà, una parte integrante dell’attuale modello europeo in cui due cose non devono accadere: che la domanda interna fiorisca e il cambio si rivaluti, mettendo in crisi il modello tedesco, e che l’Italia vada bene mettendo in crisi l’equilibrio di potere attuale in cui Francia e Germania fanno quello che vogliono dell’Italia. L’austerity inflitta all’Italia è il collante dell’Europa e lo è soprattutto oggi con un governo sovranista in Italia, che in caso di successo scuoterebbe dalle fondamenta la costruzione attuale e chi ci guadagna, nel bene e nel male. Chi vuole più Europa nella fase attuale non può non augurarsi che questo governo fallisca in economia. Ognuno valuti le conseguenze possibili di questa ovvietà.
PS: per chi non capisce come mai nessuno parla del debito giapponese ampiamente sopra il 200%, prendiamo a prestito queste parole chiedendoci se gli italiani hanno o meno risorse finanziarie per ricomprarsi il 30% del debito pubblico oggi in mano estera (probabilmente sì): “Non riesco ancora oggi a capire come non sia evidente, anche a persone di grande ingegno, il significato sociale e politico del debito pubblico. Nel corso degli anni Ottanta, il debito pubblico è cresciuto, in percentuale al Pil, di oltre quaranta punti. Tuttavia, la sua diffusione capillare nel pubblico ne fa, dopo quella immobiliare, la ricchezza principale delle famiglie italiane, le quali hanno sì rinunciato a detenere azioni quotate in Borsa, ma possiedono tuttavia una ricchezza finanziaria netta superiore al doppio della pur impressionante cifra del debito pubblico. Il titolo di Stato si è diffuso anche negli strati sociali meno abbienti. È divenuto l’investimento tipico del trattamento di fine impiego. Ha rappresentato una fonte di reddito aggiuntivo per milioni di pensionati, impiegati, lavoratori autonomi. … [U]na volta [lo stesso] Davide Ricardo fece notare come i debiti di una nazione siano debiti che la mano destra deve alla mano sinistra, e non indeboliscono il corpo sociale”. (Guido Carli, ministro del Tesoro 1989-1992)