L’erba del vicino è sempre più verde. E osservando quello che sta accadendo a Parigi sotto l’impulso del governo Macron il verde dell’erba francese appare addirittura sgargiante. Il che può far piacere visti i buoni rapporti economici con i cugini d’oltralpe, ma può anche impensierire perché nel mondo moderno si è sempre alleati e concorrenti allo stesso tempo.
Ad appena 48 ore dal suo insediamento, il neo presidente della Confindustria francese (Medef) Geoffroy Roux de Bézieux ha incontrato il presidente della Confindustria italiana Vincenzo Boccia, rinnovando gli auspici di un’intesa forte e duratura per la costruzione di un’Europa più unita, meglio dotata di istituzioni comuni, vicina alla sensibilità delle popolazioni. Il rapporto tra le due organizzazioni imprenditoriali è autentico ed è davvero dominato dalla voglia di lavorare insieme. Non a caso nei mesi scorsi è stato firmato a Roma un accordo tra le due nazioni – conosciuto come Patto del Quirinale – che ha come obiettivo la ricerca e lo sviluppo di occasioni di collaborazione per il bene reciproco e della più larga casa europea.
Ma Italia e Francia rappresentano anche la seconda e la terza manifattura dell’Unione – dopo la Germania naturalmente prima – e non è un mistero che Macron abbia inserito nel suo programma il sorpasso del Bel Paese che, nella mentalità dei grandiosi eredi dei Galli, occupa immeritatamente la posizione d’onore usurpandola a loro. Che la competizione faccia la sua parte. Ed ecco che la Francia decide di passare all’attacco dotandosi degli strumenti giusti come una riforma delle pensioni che somigli a quella della Fornero, una riforma del lavoro che somigli al Jobs Act, una riforma degli incentivi alle imprese che somigli all’impianto di industria 4.0. Copiare per superare. Non tutti sono contenti, ma la prospettiva è disegnata.
Mentre i francesi costruiscono le basi del loro successo – misurato appunto nello scavalcamento dell’Italia come seconda potenza manifatturiera d’Europa -, nel nostro Paese si punta a smontare l’armamentario che ha consentito al Pil di riprendersi, all’occupazione di recuperare un milione di posti di lavoro tra quelli persi con la crisi, all’export di far segnare livelli record. Certo, non è tutt’oro quello che luccica. La crescita è più lenta di quella che dovrebbe e comunque più bassa della media europea, restano ampie aree afflitte da una tenace disoccupazione (soprattutto tra i giovani e le donne), le disuguaglianze tra territori e persone sono ancora troppo alte e dunque pericolose per una serena convivenza civile. Ma è sempre meglio che niente.
E mentre in Francia appare chiaro il programma di voler puntare sugli imprenditori – sul loro interesse a investire e svilupparsi – per tirare su la nazione, è altrettanto chiaro che in Italia gli imprenditori siano visti dalla nuova maggioranza giallo-verde, Lega e M5Stelle, con qualche eccesso di sospetto, come dimostra l’inserimento di misure improntate alla sfiducia nel cosiddetto decreto dignità.
Non è certamente quello che serve. Se l’obiettivo è correggere qualche distorsione scoraggiando gli opportunismi e limitando la precarietà occorre saper prendere bene la mira. Perché non esiste niente di più frustante che accorgersi, quando il guaio è stato fatto, che il risultato delle proprie decisioni è esattamente l’opposto di quello che avevamo progettato.