La Legge di bilancio è stata oggetto di un altro vertice di maggioranza. Al di là delle smentite su alcune misure (come l’abolizione degli 80 euro), l’impianto di fondo della manovra sembra essere stato confermato: avvio delle principali misure del contratto di Governo, come la flat tax, il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni, rispettando i vincoli di bilancio. «È un po’ difficile però tenere assieme obiettivi che sono fortemente in contrasto tra loro. Non credo che il ministro Tria possa fare miracoli», è il commento di Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.



Come vede la situazione Professore?

Ritengo che siamo di fronte a una rimodulazione degli obiettivi con cui i partiti al Governo si sono presentati in campagna elettorale all’insegna della fattibilità. L’escamotage usato è quello di spiegare che questi obiettivi che oggi sembrano irrealizzabili, perché implicherebbero il trovare ampie risorse per la loro copertura, vengono “spalmati” su 5 anni. Diventano, cioè, obiettivi di legislatura. 



In questo modo diventano più facili di raggiungere?

Anche se il Governo si dà 5 anni di tempo, ma indica riduzioni di entrate, aumenti della spesa superiori alla spending review prefigurata, non si può che immaginare una situazione di finanza pubblica che porterà inevitabilmente a non soddisfare la riduzione del deficit e del debito, che sono invece obiettivi che vengono riaffermati almeno a parole dall’esecutivo. 

Dunque sarà inevitabile un confronto con Bruxelles…

Sicuramente ci sarà un confronto, quanto polemico sarà tutto da vedere. Le misure proposte dal Governo, anche per essere attuate solo parzialmente, richiedono che il deficit per il 2019 e gli anni seguenti sia più alto di quello preventivato. Bisognerà quindi spiegare perché si vuole fare questo maggiore deficit. Ed è più facile ottenere ascolto benevolo se le misure proposte possono portare a un aumento di crescita potenziale piuttosto che servire a distribuire reddito, magari anche con intento elettorale.



Prima ha accennato ai tagli di spesa che il Governo intende fare. Sappiamo che uno degli obiettivi è quello di rivedere le tax expenditures. Cosa ne pensa?

Non è facile, perché per i contribuenti non si tratta di spese, ma di minori tasse da pagare. Ridurre la spesa in questo modo agli occhi dei cittadini vuol dire aumentare le tasse, cioè fare quello che il Governo dice di non voler fare. Sarà interessante vedere come verrà affrontata questo nodo. Se si riescono a ridurre in maniera percepibile le aliquote fiscali, in cambio di meno deduzioni e detrazioni, allora l’intervento può essere non visto negativamente. Si tratta però di un’operazione politicamente difficile da fare, soprattutto per chi ha detto che i precedenti governi non erano stati capaci di fare le cose. 

Crede che ci possa essere una nuova fiammata dello spread in attesa della Legge di bilancio?

Molto dipenderà da come verrà gestita la discussione all’interno della maggioranza. Al momento saggiamente sembra che nessuno metta in discussione il ministro dell’Economia, che rappresenta il garante nei confronti dei mercati della tenuta dei conti pubblici. Se Salvini e Di Maio dovessero mettere in difficoltà la posizione di difesa dei conti pubblici di Tria, allora lo spread risponderebbe subito.

Si potrebbe ripetere una situazione come quella del 2011?

Ora la situazione è migliore. Abbiamo un’economia che sta ancora crescendo, mentre allora eravamo già in recessione, e i tassi sul debito sono più bassi: complessivamente, quindi, la sostenibilità del debito pubblico di partenza, che è data dal confronto tra il tasso di interesse e la capacità di crescere dell’economia, è migliore rispetto al 2011. E poi c’è ancora l’ombrello della Bce, almeno finché ci sarà Draghi.

Questo autunno e questo inverno possono passare relativi tranquillamente, visto che Draghi ci sarà ancora? 

Sì, anche se i mercati guardano avanti. Per cui Draghi potrebbe essere insufficiente se venisse indicato un successore che è molto filo-Bundesbank. Non per forza Weidmann, ma anche un banchiere centrale non tedesco, ma che obbedisce alle logiche della Germania.

(Lorenzo Torrisi)